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Il confine della tradizione.
Demolizione e costruzione di un universo sonoro
di Gabriele Marangoni
31 agosto 2021
Mi piace l’idea di iniziare questo articolo con la descrizione di un’immagine, che nel mio vissuto d’insegnamento assume una valenza molto importante, l’immagine del confine.
Questa immagine, questa posizione dell’essere è accompagnata da un gioco di equilibri, di demolizioni e di ricostruzioni che ha riguardato sia chi ha avuto il ruolo di insegnare, sia chi ha avuto il ruolo di apprendere.
In ogni esperienza umana, artistica o spirituale il nostro agire è caratterizzato da linee di confine che a volte ci accompagnano, a volte si spostano e si allontanano e a volte ci proteggono ma che possono anche incatenarci e relegarci in una posizione che ci impone anche l’aggravante di una nostra inconsapevolezza verso il fatto che ciò che riusciamo a vedere, ciò che riusciamo ad essere o ciò che percepiamo non è assolutamente il tutto o un punto d’arrivo, bensì solamente un granello di un’entità assai più vasta e a noi (ancora) ignota.
Nello specifico della mia esperienza d’insegnamento accademico la tradizione musicale popolare regionale ha inizialmente marcato il confine del mio agire; dal 2015 insegno fisarmonica al Conservatorio di Cagliari, strumento con un forte legame con la tradizione regionale, imbevuto e abusato da un folclore locale costituito da un microcosmo di moltitudini di “sonadori” e di esecuzioni legate a feste, riti religiosi e manifestazioni ludiche ma totalmente assente in un universo sonoro più ampio, sia classico che contemporaneo.
Credo che i confini delle tradizioni siano artisticamente pericolosi quando non fluidi, affidarci e farci definire da essi equivale alla non messa in discussione della nostra natura. Affidarsi ciecamente al tempo storico e all’esperienza consolidata e condivisa permette di sentirsi al sicuro, di essere definiti e riconosciuti, ma nell’arte sentirsi al sicuro non è mai una buona situazione.
Relazionandomi con i miei primi allievi è stato facile sin da subito constatare che questa realtà diffusa e condivisa non solo aveva monopolizzato e saturato l’idea dello strumento e della sua prassi esecutiva ma anche un’idea più generale di musica e di concetto sonoro tracciando un solco di confine talmente profondo da non permettere di immaginare la possibilità di una probabile vastità di altre situazioni.
Un confine inizialmente invalicabile, se non in pochi casi, dove tutto iniziava e finiva con la prassi della tradizione; una definizione ed un’esperienza di musica assoluta soppiantata da quella regionale.
Non sono mai stato un difensore delle tradizioni in senso assoluto, preferisco mischiare le sostanze tra loro senza sentirmi possessore o posseduto da elementi tipici; ma qui il problema non era personale e nemmeno solo didattico; ricordo una conversazione nella quale dovetti “difendere” J.S.Bach dalla critica che non avesse usato un accompagnamento ritmico con accordi in un’invenzione a 3 voci; esempio tangibile di come tutto possa essere riportato e paragonato al solo ciò che si conosce.
A parte le avvocature d’ufficio per J.S.Bach essenziale è il comprendere l’importanza di operare innanzi a tutto nella costruzione di un contesto in grado di aprire le prospettive e di permettere lo sviluppo e la naturale crescita personale e artistica di chi ha compiuto il primo passo verso una nuova sensibilità e che domani sarà attore del cambiamento e dell’ampliamento dell’esperienza; l’importanza di una didattica della costruzione.
Continuando a parlare di didattica, quali sono le problematiche che si palesano e che bisogna affrontare dovendo andare ad interagire con un contesto e con una prassi consolidata da anni?
Ve ne sono di molteplici, come ad esempio le impostazioni funzionali: L’aver eseguito e frequentato un unico repertorio, sin dall’inizio dell’approccio con lo strumento, ha portato gli esecutori a sviluppare tecniche ed impostazioni funzionali a quel genere, e spesso solo a quel genere; parlo di diteggiature, di posizione della mano di articolazioni e di gestione dei fraseggi. Anche se questo aspetto potrebbe sembrare puramente tecnico in realtà porta con se una forte componente psicologica e di rapporto con l’allievo: non è facile dire ad un musicista che suona da anni in un determinato modo, avendo anche sviluppato una certa agilità tecnica (per il repertorio da lui affrontato), di dover ricominciare tutto da capo, bisogna trovare un gioco di equilibri dove destrutturalizzare l’approccio tecnico passo dopo passo, un equilibrio tra (apparente) regressione tecnica e progressione estetica verso nuovi scenari sonori per l’allievo, che mantengano in lui la sensazione di una sempre continua progressione e crescita. Altra tipologia di problematiche da affrontare sono quelle legate all’estetica del suono e alla prassi esecutiva: aspetto molto importante sul quale agire è la concezione stessa del suono, di ogni singolo suono prodotto; spostarsi da un’idea sonora dove l’importante è la struttura ed il senso ritmico di accompagnamento per concentrarsi su di una visione estetica del suono stesso libera da ogni funzione, libera da una concezione materica dell’agire; addentrarsi in una dimensione più ricca di orizzonti e paesaggi sonori dove ogni singola nota è di per se un universo e dove, nel caso specifico dello strumento, mano sinistra e mano destra non hanno più ruoli distinti e preordinati (accompagnamento e tema) ma si fondono arrivando ad una concezione polifonica che necessita di grande attenzione verso il suono prodotto e verso tutte le sfumature ed i fraseggi espressivi e dinamici che il mantice, polmone e cuore poetico dello strumento, permette.
Di altri aspetti e di altre problematiche tecniche si potrebbe ancora discutere ma credo che tutte queste siano secondarie a quella che per me è la parte centrale non della problematica ma della soluzione, ossia la costruzione di un nuovo universo sonoro che d’innanzi a dei muri permimetrali di confine (confine di conoscenza, confini di sensibilità, confini di esperienza, confini di scambio) sia in grado di ampliarsi prendendo un mattone alla volta e riposizionandolo; modificare la forma, la struttura e la prospettiva del muro di confine.
Bisogna creare non più un muro ma un ponte e certo…distruggendo anche qualche parte, come sempre è necessario in ogni opera di costruzione.
Pensare al futuro, creare sin da ora una nuova generazione che non veda la tradizione come punto d’arrivo ma come uno dei tanti appoggi dal quale poter crescere.
Credo fermamente nella dannosità di ogni pensiero locale e localizzato, la tradizione non è ciò che contraddistingue ma il punto dove sono arrivati i nostri avi, noi dovremmo essere la base della tradizione delle prossime generazioni che non può essere la stessa nostra ed in questo, guardando quale è stata la reazione e la voglia di crescita e apertura degli allievi con i quali ho iniziato questo percorso, sono molto fiducioso per un domani realmente sonoro.
Difendere o fermare il tempo passato ha grandi pericolosità, la musica è l’arte del tempo, fermarlo equivale a uccidere la musica stessa.
Gabriele Marangoni
Il suo lavoro spazia dalla musica per ensemble a quella orchestrale, dalle formazioni sperimentali all’elettronica e alla musica per teatro. La sua ricerca parte da una visione assoluta del suono. Il suono come materia con la quale tutto è possibile. La sua produzione è sostenuta da fondazioni artistiche e musicali italiane ed europee e le sue opere sono commissionate da festival di tutto il mondo. È fondatore e direttore artistico del Secret Theater Ensemble. Insegna fisarmonica al Conservatorio di Musica di Cagliari, le sue partiture sono pubblicate dalle Edizioni Da Vinci di Osaka.
BIBLIOGRAFIA
- Roman Vlad, Modernità e tradizione nella musica contemporanea, Einaudi Editore, Torino, 1955
- Luciano Berio, Un ricordo al futuro, Edizioni Einaudi, Torino, 2006
- Karlheinz Stockhausen, Lettere a Ralph, Edizioni Archinto, 2013
- Jànos Maròthy, Musica e uomo, Edizioni Ricordi, Milano, 1987
- Franco Fabbri, Il suono in cui viviamo.Saggi sulla popolar Music, Edizioni Il Saggiatore, 2008
- Victor Grauer, Musica dal profondo. Viaggio all’origine della storia e della cultura, Edizioni Le Scienze, 2015
- Massimo Mila, L’esperienza musicale e l’estetica, Edizioni Einaudi, Torino, 1965