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Il dialogo euristico
Orientamenti operativi per una nuova pedagogia dell’ascolto nella scuola
Recensione di Alessandra Seggi
31 Gennaio 2021
Premessa
“L’incapacità dell’uomo di comunicare è il risultato della sua incapacità di ascoltare davvero ciò che ci viene detto” C. Rogers
Ecco, questa frase rappresenta per me il punto focale intorno al quale ruotano i contenuti del libro di cui vi parlerò in questo scritto.
Il testo in questione s’intitola Il dialogo euristico, Orientamenti operativi per una pedagogia dell’ascolto a scuola, a cura di Laura Parigi e Franco Lorenzoni.
Gli autori espongono alcuni percorsi di ricerca su temi come il cielo, il tempo, lo spazio raccontando le diverse esperienze realizzate con vari gruppi di bambini e ragazzi. Il focus si orienta sui dialoghi, le discussioni e le ipotesi emerse in classe anche entrando “in connessione con i diversi oggetti culturali portati dall’insegnante o in cui ci si imbatte nel corso di esperienze o discussioni che suscitano interrogativi non necessariamente previsti.” Tutto questo lavoro è documentato e raccolto, come testimoniano i dialoghi proposti nel libro, attraverso esempi e proposte operative concrete.
Qui non voglio addentrarmi in dettagli logistici della ricerca ma piuttosto evidenziare quelli che, a mio parere, sono i punti di convergenza emersi nella lettura con l’esperienza del far musica e della pedagogia musicale in generale.
Leggendo il saggio ho ritrovato i temi che da anni tratto in Conservatorio con gli studenti che frequentano i miei corsi eppure, hanno sempre un sapore “nuovo” quando si prova a trasporre nella pratica musicale esperienze, pratiche e strategie capaci di alimentare la motivazione e il piacere di lavorare insieme. Inoltre ho potuto constatare le innumerevoli convergenze nelle argomentazioni esposte nel libro che, nella nostra rubrica Musicastudio, abbiamo sempre cercato di mantenere sia nelle recensioni che negli articoli con l’intento di far crescere, intorno a paradigmi pedagogici generali, tutte le considerazioni musicali emerse nei diversi ambiti d’indagine.
Così, riflettendo su tutte le assonanze concettuali e operative emerse nella lettura, ho pensato di scrivere alcune riflessioni a partire da una serie di parole chiave che ho individuato per tessere una trama capace di legare principi, idee, proposte ed esperienze dal mondo formativo dell’infanzia al mondo formativo degli adulti di cui mi occupo nel mio lavoro di docente. Tutte le citazioni, indicate tra le virgolette, sono tratte dal libro in questione.
Di seguito le parole chiave:
Capacità di ascolto: “Un buon ascoltatore è un esploratore di mondi possibili” (M. Sclavi)
Dovrebbe essere naturale in un ambiente musicale il saper ascoltare eppure troppo spesso non lo è affatto e non mi riferisco solo alla musica ma anche all’ascolto delle parole fra persone che si confrontano verbalmente. Nelle mie lezioni parto da qui, dall’ascolto, dalla capacità di ascoltarsi e di ascoltare a partire dall’attenzione al proprio corpo, alle diverse perturbazioni emotive per poi rivolgersi all’altro con un’alta qualità di presenza e di ascolto.
Un ascolto attivo, dinamico che include la pluralità di prospettive altre senza imporne una in particolare sulla quale conformarsi, nemmeno quella del docente. Con queste premesse il dialogo, la discussione diventano lo strumento indispensabile per incontrarsi e guardare il mondo non solo con i nostri ma anche con gli occhi dell’altro. “Durante il dialogo il maestro parla poco”: è una raccomandazione fondamentale per favorire l’apertura e lo spazio necessario affinché anche i più timidi si sentano sereni nel prendere la parola senza la preoccupazione della valutazione o peggio ancora del giudizio più o meno esplicito.
Nel libro si parla dell’importanza, per il maestro, di restituire i pensieri dei bambini proprio per “riconoscere ciascuno di loro come soggetto i cui gesti e parole sono accolti con cura e attenzione”. La stessa considerazione vale anche per gli adulti in una classe di pedagogia musicale, per esempio o in altro contesto formativo musicale collettivo dove l’emergere di pensieri molteplici coinvolge tutti , insegnante incluso, in una zona meno confortevole ma proprio per questo più imprevedibile e stimolante allo stesso tempo.
“ A che età riusciamo a capire che esiste un punto di vista diverso dal nostro e che aprirci allo sguardo e ai pensieri di chi è altro da noi amplia e dà respiro alla nostra comprensione del mondo?”
Dialogo euristico: “La nostra conoscenza diventa inerte e museale se non si nutre costantemente con le domande aperte che sorgono nella relazione educativa”. (F. Lorenzoni)
“Nelle pagine di questo volume, l’aggettivo euristico è inteso nel suo senso etimologico, dal greco(…) “trovare, scoprire”, per indicare la peculiarità della pratica del dialogo come contesto di costruzione sociale della conoscenza in un percorso d’indagine.” Il dialogo euristico alimenta l’imprevisto e spinge l’insegnante in ambiti in cui può non sentirsi esperto. La destabilizzazione che può scaturire in chi insegna avrà più il sapore di un’occasione piuttosto che di un disorientamento; è quasi sempre l’imprevisto che scatena, che smuove la curiosità e la creatività senza il rischio di una caduta di stima o di autorevolezza. “La pratica del dialogo, per il pedagogista Paulo Freire, non nega (…) la funzione direttiva dell’insegnante, ma la ripensa come un’asimmetria antiautoritaria nella quale il maestro, pur forte della sua maggiore esperienza intellettuale, non si limita a mostrare la conoscenza che ritiene di possedere in una forma statica, definitiva, ma si rende disponibile a reimparare, a riscoprire, a ri-studiare l’oggetto di una indagine comune(…) e attraverso il dialogo studiarlo nuovamente insieme agli studenti “.
Come si può concretamente praticare il dialogo euristico?
Gli autori individuano alcune “famiglie di orientamenti operativi: navigare di bolina, compiere manovre di avvicinamento, imparare a sfregare i cervelli, materializzare l’ascolto” come azioni per fare del dialogo euristico una modalità da esperire nella pratica.
Navigare di bolina: “la capacità di saper rinunciare al programma che avevamo stabilito per quel giorno e deviare il nostro cammino, reagendo positivamente all’inaspettato”.
Compiere manovre di avvicinamento: “le attività e gli strumenti che l’insegnante predispone nell’aiutare i bambini ad accorgersi di alcuni aspetti che riguardano il fenomeno oggetto di indagine(…) costruire teorie o per fare in modo che un’intuizione si sviluppi, sia verificata”. Imparare a sfregare i cervelli: “(…) il complesso lavoro che deve fare l’insegnante per trasformare la classe in una comunità di ricerca, per mettere tutti gli allievi nella condizione di esprimere sé stessi, stabilire relazioni, fare domande, contribuire allo sviluppo delle idee, partecipare alla costruzione di significato”.
Materializzare l’ascolto” (…) il lavoro di documentazione che gli insegnanti hanno compiuto per tenere traccia della ricerca che la classe fa attraverso il dialogo euristico.”
Nella pratica della ricerca, come riportato nel libro, l’attenzione si concentra sulla modalità di documentare tutti i dialoghi che si realizzano per poi poter ripensare e “ricalibrare” la propria azione didattica alla luce delle ipotesi emerse “mobilitando risorse personali e di contesto in funzione della risoluzione di problemi inediti.” Questo di fatto significa non irrigidirsi nei contenuti , nelle strettoie del programma, che troppo spesso diventano la scusa pe restare fermi, ma fare della duttilità, della flessibilità, anche nella gestione del tempo durante la lezione, un’opportunità per tutti i protagonisti della relazione. Tutto questo avendo chiaro quello che gli autori chiamano “scheletro” di saperi essenziali che riteniamo indispensabili per la formazione professionale dei nostri studenti.
Costruzione del contesto: “Ascoltare è saper fare spazio dentro di sé, uno spazio per l’altro” L. Mortari
Parlare ed essere ascoltati è meno frequente di quanto si possa ingenuamente pensare e sentirsi sereni nell’esprimere i propri pensieri difronte agli altri per l’adulto non è così scontato. Ci vuole tempo per sentirsi sicuri per uscire allo scoperto esprimendo i propri pensieri a voce alta e certamente non potrà essere una pratica da attivare una tantum se vogliamo che venga introiettata da tutti…ma quando piano piano questo accade il ben- essere che ciascuno prova, produce la condizione migliore per far nascere nuovi pensieri e connessioni intellettuali autentiche e spesso insolite.
Tâtonnement: Andare a tentoni. “il maestro deve in tutti i casi stimolare l’alunno ad usare le proprie forze, aiutandolo solo indirettamente”…l’alunno imparerà a servirsi della sua capacità di pensare e a questa il maestro farà continuamente appello”. J. Ward
L’espressione Tâtonnement nasce dal pedagogista C. Freinet negli anni venti guardando al bambino come uno sperimentatore capace di relazionarsi con il proprio ambiente fisico e sociale grazie al suo impulso attivo e vitale. “Questa relazione nasce a partire dai bisogni concreti, interessi, desideri, e procede per tentativi, errori, approssimazioni (Tâtonnement), dapprima meccanicamente e poi attraverso una capacità di azione intelligente che origina dalle tracce lasciate dagli atti riusciti di questo ricercare a tentoni.”
“Il compito dell’educatore, del maestro, è sostenere questo apprendimento naturale, creando le condizioni perché questi atti riusciti possano accadere, ripetersi, concatenarsi fra loro.”
E nelle diverse metodologie musicali cosa accade?
Già J. H. Pestalozzi indicava come il bambino parte sempre dall’esperienza, dalla pratica prima di assemblare, astrarre e quindi anche con la musica è necessario partire dalla pratica e illustrare i principi teorici successivamente a partire dall’esperienza diretta. La J. Ward, negli anni 30, afferma che l’educazione musicale dei bambini deve essere non solo un’esperienza da vivere ma anche un patrimonio di tutti e non solo dei bambini talentuosi.
Negli stessi anni Montessori, Dalcroze e poi Willems, Orff , Kodaly, Goitre, fino al recentissimo Gordon, tutti insistono sul valore insostituibile dell’esperienza diretta dei ragazzi al mondo dei suoni senza limitare l’orizzonte conoscitivo con vincoli teorici anteposti alla pratica e non solo ma s’invita alla composizione originale di brani musicali aiutando i giovani compositori solo indirettamente mostrando tutto il rispetto possibile alla personalità dei giovani autori limitando le correzioni allo stretto necessario senza mai svalutare il lavoro realizzato per non scoraggiare l’autore. Non sono forse queste azioni una spinta nel procedere per tentativi ed errori? Per seguire il ritmo e il tempo degli studenti e non quello del nostro avvizzito programma? Non potremo forse traslare queste stesse modalità nell’età adulta?
Un’altra raccomandazione che emerge in tutte le metodologie musicali è l’attenzione nel calibrare le difficoltà da proporre agli studenti così da non avere mai la sensazione di trovarsi di fronte ad una difficoltà superiore alle proprie forze per non scoraggiare e quindi non mutare in disagio la naturale gioia di apprendere.
Come non condividere questa cura? Ma quante volte non accade soprattutto nella pratica musicale? Quante volte il piacere, il ben-essere rimangono fuori dalle porte delle nostre aule?
Sembra strano che il piacere dell’imparare risulti ancora oggi un impedimento invece che un propulsore di energia positiva eppure molto spesso, nelle lezioni di musica e forse non solo in quelle, è proprio così che accade.
Pedagogia dell’ascolto: “Ogni conoscenza è conoscenza delle proprie emozioni” A. Ginzburg
Teoria elaborata dalla psicanalista Alessandra Ginzburg negli anni ottanta il cui focus è rappresentato dal grande rispetto e ascolto del bambino e del suo mondo includendo il corpo, l’emozione e la fantasia. L’insegnante si affiancherà solo successivamente con attenzione e accortezza offrendo proposte didattiche consone e stimolanti per valorizzare l’universo stesso del bambino. Tutto questo con l’intensione di stabilire un contatto e un confronto tramite il dialogo e prospettive di osservazioni diverse e molteplici. La cura, l’attenzione sono tutti elementi indispensabili anche per l’adulto in una lezione musicale collettiva proprio per sentirsi visto e riconosciuto nella propria unicità. Unicità che si mostra nelle produzioni originali di riflessione pedagogica ma anche nelle proposte musicali individuali dove ci si espone direttamente con i suoni senza la protezione delle parole in un momento che è tutto centrato sul qui e ora, nell’unico momento presente in cui si produce la vibrazione sonora.
Ci sarebbero ancora molte considerazioni da fare e altre parole chiave da analizzare ma non voglio dilungarmi ulteriormente. Il libro, a mio parere, offre davvero tanti spunti di riflessione sul fare e sul pensare l’intervento formativo. Gli autori disegnano il profilo di un insegnante capace di valorizzare la ricerca, il dialogo, l’ascolto prendendosi il tempo per sostare dentro gli interrogativi affinché da questi possa con naturalezza germogliare il processo di costruzione di conoscenze.
Se ciascuno di noi nel nostro lavoro, nelle nostre pratiche musicali poserà anche solo un piccolo seme di quelli proposti, avremo probabilmente creato un reale capovolgimento non solo metodologico ma, e soprattutto relazionale e profondamente umanizzante.
Il dialogo euristico, orientamenti operativi per una pedagogia dell’ascolto nella scuola, a cura di Laura Parigi e Franco Lorenzoni – Carocci Editore, Roma 2019 (pg147)