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Il paradosso dell’improvvisatore
di Sandro Mungianu
31 ottobre 2017
Per raggiungere qualsiasi luogo, prima è necessario arrivare a metà strada, poi percorrere metà della distanza rimanente, successivamente ancora, metà della metà della distanza appena percorsa, e così via all’infinito. Il movimento appare quindi impossibile.
Si tratta ovviamente del noto paradosso proposto nel V sec. a.C. da Zenone per difendere la tesi parmenidea sull’illusione del movimento. La confutazione più immediata è del filosofo Diogene di Sinope, il quale non disse nulla sugli argomenti portati da Zenone, ma si alzò e camminò, con lo scopo di dimostrare la falsità delle conclusioni di quest’ultimo.
Le teorie della fisica del XX secolo hanno ormai chiarito che la materia, il tempo e lo spazio non sono divisibili all’infinito, ma resta affascinante il fatto che alcuni paradossi popolari resistano nel tempo, come il “paradosso dell’improvvisazione musicale”, secondo il quale l’ideazione e l’esecuzione si manifesterebbero nello stesso identico istante.
Il carattere ineffabile di questa concezione della musica improvvisata porterebbe quindi a pensare che non sia possibile identificare un risultato musicale di interesse analitico, in quanto la produzione di suoni derivata dall’improvvisazione sarebbe del tutto estemporanea, una pratica che non richiederebbe alcuna progettualità o preparazione. La linguistica moderna ha inoltre assunto una rilevanza importante nella musicologia: le trattazioni di Ferdinand de Saussurre (Ferdinand de Saussure, Cours de linguistique générale, a cura di Charles Bally, Albert Riedlinger e Albert Sechehaye, Losanna-Parigi, Payot, 1916. Trad. it.: Ferdinand de Saussure, Corso di linguistica generale, a cura di Tullio De Mauro, Roma-Bari, Laterza, 2009) sulla relazione tra significante e significato, e sull’arbitrarietà dell’interpretazione, costituiscono ormai la base fondante di molte teorie di analisi musicale. Ciò ha portato a privilegiare le fonti di notazione scritta rispetto alle esecuzioni strumentali, riconoscendo nella semiotica scelta dal compositore una verità più attendibile e meno viziata da interpretazioni rispetto al fenomeno acustico dell’esecuzione.
Pertanto, l’inesistenza di segni di notazione scritta nelle consuete pratiche musicali improvvisative, spiega la difficoltà di molti musicologi nel contestualizzare queste ultime in una struttura organizzata, fino a sviluppare un sillogismo che ha portato persino ad una certa reticenza dei teorici nel riconoscere un valore musicale e artistico all’improvvisazione.
1. L’improvvisazione musicale è musica?
Siamo di nuovo nell’ambito del paradosso: un ragionamento che appare corretto, ma che porta a soluzioni o domande bizzarre, un sillogismo confutabile solo se si accetta una nuova valutazione delle premesse. Tuttavia, proprio per il suo potere provocatorio, il paradosso in filosofia è sempre stato un potente strumento per rompere le impalcature e stimolare la riflessione.
La premessa da ridiscutere nel “paradosso dell’improvvisatore” è allora la seguente: che cosa è musica?
Il teorico della musica Carl Dahlhaus ritiene che «dalla tendenza a livellare le diversità attraverso una nozione universale e unitaria della musica», derivino «conseguenze problematiche» (Carl Dahlhaus, Eggerbrecht 1985, trad. it. 1988, p.9). Ciò non significa che dobbiamo rinunciare a definire univocamente la musica, né per forza arrenderci ad un riconoscimento soggettivo del valore musicale.
Abbandonando l’assurda pretesa di voler collocare l’improvvisazione musicale in rigide categorie ontologiche occidentali, si può comunque seguire il sentiero speculativo di Jerrold Levinson (Jerrold Levinson, Music, Art, and Metaphysics, Ithaca: Cornell UP, 1990; 2nd edition, Oxford: Oxford UP, 2011) che definisce genericamente la musica come ‘arte dei suoni’, con un appunto sulla rilevanza del loro alternarsi con il silenzio.
Prescindendo in tal modo dai riferimenti alla semiotica, si riconosce alla musica il valore di τέχνη (téchne), nel senso greco del termine caro a Umberto Galimberti (Umberto Galimberti, Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica, Milano, Feltrinelli, 1999): ‘arte’ nel senso di ‘perizia tecnica’, ‘l’insieme delle norme applicate e seguite in una attività, sia essa esclusivamente intellettuale o anche manuale’ (Vocabolario Treccani alla voce corrispondente). Nella stessa definizione di Levinson, inoltre, si riconosce la sonorità come protagonista imprescindibile dell’esperienza musicale. Questi assunti consentono di argomentare il discorso sull’improvvisazione musicale senza fraintendimenti o vizi linguistici.
Il musicista improvvisatore, quindi, produce suoni e li alterna sapientemente con pause ‘tendenti al silenzio’ (l’impossibilità di esperire il silenzio assoluto, infatti, fu evidente a John Cage durante la sua visita alla camera anecoica della Harvard University, un’esperienza che lo portò all’ideazione dell’utopico ‘tacet’ nella composizione 4’33’’).
L’improvvisazione musicale definita come arte dei suoni e dei silenzi, dunque, ma «che cosa fa di un’opera d’arte un’opera d’arte e non un oggetto qualsiasi?». Questa è la domanda che si pone Pierre Bourdieau (Pierre Bourdieau, Les Règles de l’art. Genèse et structure du champ littéraire, Seuil, Paris, 1992). Le tesi sono esposte nel suo trattato “Le regole dell’arte”, con la sua consueta poliedricità metodologica, e ci invitano a riflettere sul fatto che l’ontologia non è sufficiente per comprendere il fenomeno.
2. dell’improvvisazione, è necessario infatti affrontare il concetto di campo e relazioni
tra campi diversi, per capire che l’arte vive nel suo contesto e del suo contesto, la musica, perciò, non è solo un fenomeno acustico ma anche sociologico e antropologico.
L’improvvisazione musicale, in particolare, non è facile da definire univocamente, proprio perché vive dell’esperienza storica e antropologica di diverse culture. Gli studi etnomusicologici ci consentono di presupporre un’origine molto antica delle pratiche musicali improvvisative, quando la ‘notazione mnemotecnica’ (Andrea Valle, La notazione musicale contemporanea. Aspetti semiotici ed estetici, Edizioni EDT, 2003) non era ancora necessaria, perché ci si affidava alla tradizione orale come principale strumento di trasmissione del sapere. Vivono della stessa esperienza popolare le evoluzioni più moderne dell’improvvisazione jazzistica – anche se sempre più tendenti alla pratica della musica scritta – fino ad arrivare alle esperienze storiche della musica
contemporanea, come il “Gruppo di Improvvisazione di Nuova Consonanza”, fondato a Roma da Franco Evangelisti nel 1964, e ancora ai recentissimi collettivi di improvvisazione elettro-acustica, nati in questi ultimi anni nei conservatori di musica, e persino in contesti underground ed extra-accademici nazionali e internazionali.
Ciò che accomuna tutte queste diversissime esperienze è l’assenza di notazione o addirittura di un progetto compositivo ben definito. Si ritorna quindi al paradosso popolare espresso nel principio di questo articolo: l’ideazione e il suono sembrano manifestarsi nello stesso istante.
La realtà dell’improvvisazione musicale è più complessa e spesso ci si rifiuta di ridiscutere l’idea della contemporaneità cronologica dei due elementi: quello progettuale e quello esecutivo. Forse perché il manifestarsi estemporaneo di un evento artistico provoca una fascinazione alla quale non si vuole rinunciare; ricorda in qualche modo il concetto di ‘musica e ineffabile’ proposto da Vladimir Jankélévitch ed espresso con una connotazione che appare tardo-romantica ancor più che filosofico-scientifica (Vladimir Jankélévitch, La musique et l’ineffable (1961), tr. Enrica Lisciani-Petrini, La musica e l’ineffabile, Bompiani, Milano, 1998).
Alessandro Bertinetto (Alessandro Bertinetto, Il pensiero dei suoni, Milano, Bruno Mondadori, 2012) si pone allora questa domanda: «come si può eseguire l’inatteso?». Con il ricorso alla similitudine tra l’improvvisazione e la pratica comunicativa del ‘linguaggio da parte dei parlanti’, spiega che quest’ultimo «è regolato rigidamente e senza scarti da regole e automatismi. Sebbene si parli e scriva adoperando regole, convenzioni e formule, l’uso delle determinazioni generali del linguaggio è inventivo», e precisa inoltre che «l’estemporaneità e l’imprevedibilità di modalità di agire (…) si scontrano con procedure standardizzate, calcolabili, reiterabili».
3. L’improvvisazione musicale si nutre insomma di esperienze tecniche e musicali.
Tutto questo rende evidente che in realtà la creazione improvvisativa non è totalmente estemporanea, ma deriva da rapidi collegamenti mentali tra conoscenze teoriche e tra abilità strumentali pregresse. Le regole non sono assenti, persino nella più radicale delle improvvisazioni musicali, anzi, esistono e vengono sfruttate con velocità dal cervello dell’improvvisatore, per poi essere messe in pratica pochi istanti dopo, attraverso le sinapsi neuro-muscolari. La fase esecutiva appare quindi contemporanea a quella creativa solo perché rapidamente conseguente.
Talvolta le esperienze pregresse del musicista sono talmente radicate nella memoria uditiva e cinetica da limitare la libertà creativa. Per poter fare ‘tabula rasa’, al fine di perseguire un approccio concreto al materiale sonoro e creare nuovi equilibri sistemici, sarebbe utile avvicinarsi all’esperienza formativa dell’ascolto ridotto, teorizzato da Pierre Schaeffer (Pierre Schaeffer, Traité des objets musicaux, 1966). Si tratta del tentativo di allontanarsi dalle gerarchie timbriche, intervallari, ritmiche e dinamiche, tipiche del repertorio tradizionale, che condizionano non solo l’ascolto ma anche le azioni musicali di ogni improvvisatore.
Che cosa accade, però, quando l’improvvisazione è affidata all’intelligenza collettiva di un gruppo di musica d’insieme?
Ancora una volta, l’assenza di un supporto scritto richiede la ricerca di nuove strategie creative, finalizzate in questo caso alla ricerca di rapide relazioni tra le manifestazioni sonore delle idee di ogni musicista.
Prima dei suoni e del loro ‘contrappunto’, intervengono il linguaggio del corpo, lo sguardo, il respiro… alla ricerca di sincronie, asincronie, rimandi, stratificazioni e diradamenti. Chi si occupa di musica di insieme sa che suonare sempre con gli stessi musicisti affina l’interpretazione del particolare linguaggio corporeo di ciascuno di essi.
Poi finalmente il suono, non più come fenomeno acustico ma come fenomeno compositivo. Ogni esecutore tende spesso a ripetere determinate micro-strutture musicali che, se riconosciute dagli altri interpreti, possono portare ad una efficace interazione tra i musicisti durante l’esecuzione. Si creano quindi relazioni tra le sonorità liberate nel tempo, come nel ‘gomitolo’ o nella ‘valanga’ di Bergson: arrotolando il filo di lana su se stesso, cresce il gomitolo e, man mano che cresce, c’è sempre nuovo filo che si aggiunge, senza però che quello che c’era già sparisca; in modo analogo, la valanga nasce nel momento in cui si stacca della neve e comincia a rotolare, accumulando sempre più neve, senza che quella presente in origine venga persa (Henri-Louis Bergson, Matière et mémoire, 1896, tr. Adriano Pessina, Materia e memoria, Laterza, Bari-Rona, 1996).
4. Le forme del suono vengono ‘incise’ nel tempo durante l’esecuzione e determinano anche le forme delle sonorità successive, fino a delineare una struttura complessiva con equilibri simili a quelli della musica scritta. Tale struttura non si presta ad un’analisi lineare nel tempo, perché si manifesta durante l’ascolto e vive quindi delle stesse logiche di cui vivono i nostri processi cognitivi durante l’accumulo mnestico.
Grazia alla tecnica e ai mezzi di registrazione, in realtà, persino gli eventi improvvisativi diventano ripetibili e analizzabili in una linea cronologica ordinata, come evidenziato da Walter Benjamin in “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” (Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, traduzione di Enrico Filippini, prefazione di Cesare Cases, Torino, Einaudi, 2000).
Il pubblico non può certo contare sul piacere cognitivo dato dalla riconoscibilità del programma musicale – elemento fondamentale nella musica di repertorio – ma durante l’ascolto diventa spettatore di un evento che gode ancora dell’aura dell’opera d’arte nuova. L’esperienza non è solo uditiva, ma si sviluppa anche e soprattutto attraverso le interazioni tra l’udito e gli altri sensi.
L’improvvisazione musicale è insomma un’esperienza multisensoriale che, attraverso l’energia e la fatica del gesto del musicista, consente di poter godere dello stupore che si prova nell’assistere in tempo reale al rapido processo di materializzazione di un’idea musicale originale.
Sandro Mungianu
Sandro Mungianu è compositore, musicista e artista multimediale. Il suo percorso musicale e artistico si svolge soprattutto nell’ambito della musica contemporanea ed elettroacustica. Ha studiato pianoforte, clarinetto e sassofono e approfondito la ricerca musicale attraverso lo studio dell’informatica e della computer music, diplomandosi in Musica e nuove tecnologie e Musica elettronica al Conservatorio G.
Pierluigi da Palestrina di Cagliari e in Composizione e teoria della musica al Conservatorio della Svizzera italiana di Lugano. Ha curato una rubrica sulla musica contemporanea per L’Universo, periodico del Corriere del Ticino.
Le sue composizioni sono state eseguite in numerosi festival e ha ricevuto premi in prestigiose competizioni internazionali. Attualmente insegna Composizione, Tecnologie musicali e Produzioni audiovisive nella scuola secondaria di secondo grado e collabora alla realizzazione di manifestazioni culturali di musica contemporanea e arti multimediali.