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La composizione e l’analisi musicale con i bambini, adolescenti, docenti.
di Emanuele Pappalardo
30 novembre 2021
Introduzione
La domanda mette in movimento il senso contro il dogmatismo della verità.
Porre domande non significa…che non ci siano risposte.
Vuol dire collocarsi nella struttura tra domanda e risposta.
Porre domande è il senso stesso dello studio.
(Edmond Jabes)
In questo mio contributo vorrei delineare a) il ruolo che potrebbero e dovrebbero avere attività quali la composizione e l’analisi nella formazione del personale docente di discipline musicali del primo e secondo ciclo d’istruzione; b) le ricadute didattiche di tale formazione nei concreti contesti scolastici anche con l’utilizzo di elementari mezzi informatici nelle ore di didattica destinate alla Educazione musicale e allo studio dello strumento.
Ma andiamo con ordine.
Dalle “Indicazioni” al concreto utilizzo della composizione e dell’analisi.
La Musica, così come viene definita la disciplina nelle attuali ‘Indicazioni nazionali per il curricolo’ (dicembre 2012) dovrebbe essere oggetto di attività pedagogico-didattica fin dalla scuola dell’infanzia. È obbligatoria nei cinque anni della scuola primaria a parità con le altre discipline. Nei tre anni di scuola media di primo grado le viene obbligatoriamente riservato uno spazio di due ore settimanali. In Italia esistono anche le SMIM (scuole medie ad indirizzo musicale) nelle quali lo studente, oltre ad usufruire delle due ore di educazione musicale, studia uno strumento e pratica la musica d’insieme. Nella fascia superiore la musica è presente nei Licei Musicali, avviati nell’a.s. 2010-11. Lo studente che volesse proseguire gli studi musicali dopo la frequenza di una SMIM può iscriversi al Liceo musicale, e poi proseguire in Conservatorio, o all’ Università, oppure iscriversi direttamente in Conservatorio ai corsi di base o nei propedeutici. In questo caso lo studio della musica può diventare professionalizzante, mentre non lo è nelle SMIM e nei Licei musicali.
Nelle “Indicazioni nazionali”, si insiste sul concetto di scuola che per tutta la durata del primo ciclo «propone situazioni e contesti in cui gli alunni trovano stimoli per sviluppare il pensiero critico e analitico, imparano ad imparare, coltivano la fantasia e il pensiero originale, si confrontano per ricercare significati e condividere possibili schemi di comprensione della realtà, riflettendo sul senso e le conseguenze delle proprie scelte».
Si attribuisce alle tecnologie di informazione e comunicazione un ruolo di frontiera decisiva per la scuola. Si tratta di una rivoluzione epocale. La scuola non ha più il monopolio delle informazioni e dei modi di apprendere. Le discipline e le vaste aree di cerniera tra le discipline sono tutte accessibili ed esplorate in mille forme attraverso risorse in continua evoluzione. Sono chiamati in causa l’organizzazione della memoria, la presenza simultanea di molti e diversi codici, la compresenza di procedure logiche e analogiche, la relazione immediata tra progettazione, operatività, controllo, tra fruizione e produzione. Dunque, il ‘fare scuola’ oggi significa mettere in relazione la complessità di modi radicalmente nuovi di apprendimento con un’opera quotidiana di guida, attenta al metodo, ai nuovi media e alla ricerca multidimensionale. Veniamo allo specifico campo che qui ci interessa. Nei contenuti della disciplina “Musica” si legge che: «mediante la funzione ‘cognitivo-culturale’ gli alunni esercitano la capacità di rappresentazione simbolica della realtà (…); mediante la funzione ‘linguistico-comunicativa’ la musica educa gli alunni all’espressione (…); mediante la funzione ‘emotivo-affettiva’ gli alunni, nel rapporto con l’opera d’arte, sviluppano la riflessione sulla formalizzazione simbolica delle emozioni (…); mediante la funzioni ‘identitaria’ e ‘interculturale’ la musica induce gli alunni a prendere coscienza della loro appartenenza a una tradizione culturale (…); mediante la funzione ‘relazionale’ essa instaura relazioni interpersonali e di gruppo (…); mediante la funzione ‘critico-estetica’ essa sviluppa negli alunni una sensibilità artistica basata sull’interpretazione sia di messaggi sonori sia di opere d’arte, eleva la loro autonomia di giudizio e il livello di fruizione estetica del patrimonio culturale.»
Niente da eccepire, dunque, riguardo all’importanza che viene assegnata alla disciplina. Ma la realtà, molto spesso, non sembra rispettare queste nobili dichiarazioni.
Quale formazione per i docenti?
Qualcuno bussa alla tua porta
per ricordarti chi sei:
bisogna correre il rischio
di aprire la porta
(detto ebraico)
Insegnando nei corsi di ‘Didattica della Musica e dello Strumento’ in Conservatorio, mi occupo prevalentemente della formazione dei formatori e constato regolarmente come i pregiudizi verso la tecnologia, la composizione e l’analisi siano tenacemente radicati. Il computer viene utilizzato prevalentemente per confezionare prodotti musicali di tipo commerciale di basso profilo estetico, modello fast food. Sono convinto che sia necessario attribuire al computer il suo legittimo valore. Considerarlo uno strumento, un mezzo alla stregua degli strumenti musicali tradizionali. E se da una parte non bisogna ideologizzarne l’uso, d’altra parte non si devono trascurare le potenzialità che possiede e che differiscono dalle potenzialità che offrono gli strumenti musicali tradizionali. Si può lavorare sui contenuti azzerando la necessità di acquisire competenze musicali specifiche. Affinché i partecipanti ad un corso di formazione si sentano a proprio agio, la prassi che utilizzo è dichiarare subito che tutti questi aspetti possono essere affrontati partendo da un livello prossimo allo ‘zero’. La tecnologia utilizzata è alla portata di tutti così come ciascuno può comporre ed esercitare attività analitiche sui brani che lui stesso o un altro componente del gruppo compone. Ritengo importante che l’acquisizione delle competenze “algoritmiche”(2) e, soprattutto, l’attività di analisi avvengano in gruppo.
Il tema della formazione è assolutamente centrale e deve essere affrontato con urgenza e serietà perché siamo immersi in una vera e propria “mutazione antropologica” (Serres 2013). Emerge ormai con chiarezza lo iato esistente tra le competenze che hanno i bambini, gli adolescenti e le competenze che posseggono i loro insegnanti. È forse la prima volta nella storia dell’umanità in cui la generazione successiva insegna qualcosa alla generazione precedente (Novara 2017, p.9). Tutti possono constatare come già a tre o quattro anni i bambini sappiano maneggiare smartphone, tablet, e altri dispositivi digitali. Tuttavia non bisogna commettere l’errore di incentrare corsi di formazione solo su questi aspetti tecnici, anche se da questi non si può prescindere. Per una alfabetizzazione di base in campo musicale, il tempo necessario, per persone che non hanno mai avuto accesso a un software audio, non supera il numero di due o tre incontri della durata di circa tre ore ciascuno.
Un tempo assolutamente irrisorio per acquisire competenze che permettano di saper gestire lo iato tra bambini, adolescenti e insegnanti. Non scenderò qui in dettagli su questi aspetti (Pappalardo 2002; 2003; 2010; 2014; 2019), mi preme rimarcare che già con poche e semplici acquisizioni algoritmiche si può cominciare a comporre (letteralmente: ‘mettere insieme cose diverse’) e su questo nuovo ‘oggetto’ esercitare una complessa attività analitica di gruppo. Insomma, si può essere ‘molto creativi’. Senza dilungarci troppo sul concetto di creatività sul quale chiunque può trovare una moltitudine di definizioni e approfondimenti, se ci serviamo della semiotica potremmo dire che la creatività è fare entrare in un segno un senso che ne trasformi il significato. Ad esempio, Picasso ha unito una sella di bicicletta e un manubrio e ha fatto un oggetto che ha chiamato “Testa di toro”. Ha introdotto un senso che ha modificato il significato.
Pablo Picasso Tête de taureau (1942)
Renè Magritte L’invention collettive (1934)
Un altro esempio, anche questo molto noto, è di Magritte, che rompe la configurazione classica della sirena mettendo la testa di pesce al posto del consueto volto femminile. In questi semplici esempi si realizza una ‘rievocazione’ in quanto vengono utilizzati materiali che si hanno in memoria, ricombinati in modo diverso. La modificazione del linguaggio è una necessità affinché si possa parlare di creatività. In sostanza è necessario “selezionare” e “ricombinare”. Bisogna limitare la fantasia per ottenere l’immaginazione creativa (che è una selezione oculata di rappresentazioni). Cioè è fondamentale saper analizzare quello che si presenta.
Anche nel lavoro di composizione che per comodità chiamerò ‘composizione informale’, dove si utilizzano eventi sonori eterogenei non codificati dalla nostra tradizione, sarà necessario operare delle scelte: ‘in primis’ bisognerà selezionare i materiali sonori da utilizzare in vista di un progetto e, nella fase successiva, si dovranno creare le relazioni tra i materiali sonori scelti. Detto in altri termini, ci si troverà ad affrontare due strategie per creare coerenza. Michel Imberty chiarisce questi aspetti definendo cosa siano gli “schemi d’ordine” e di “relazione d’ordine”:
«Gli schemi d’ordine si riferiscono alla coerenza delle successioni sonore […], sono meccanismi cognitivi che organizzano il tempo concreto, vissuto e memorizzato nelle successioni dei contrasti, delle rotture, dei passaggi progressivi, delle continuità di ogni specie: un tempo dinamico che dispone gli eventi secondo un ordine specifico e irreversibile […]. Gli schemi di relazione d’ordine al contrario riguardano le relazioni organiche che permettono di stabilire dei rapporti fra le parti dell’opera, fra elementi vicini o ripetuti a distanza. Gli schemi di relazione d’ordine riguardano la percezione dei rapporti sintattici o formali e permettono di costruire un’architettura coerente al di là del tempo concreto in cui si sviluppano gli elementi sonori […]. Sono meccanismi cognitivi che organizzano il tempo formale, un tempo astratto in cui si tessono delle relazioni logiche, un tempo-spazio in cui tutte le relazioni di simmetria e le reti sono possibili» (Imberty 2004).
A un livello di base ciascuno può affrontare concetti densi di significato, come quelli che Imberty propone, e che vengono di norma destinati alla riflessione di esperti compositori o analisti – purché si eserciti da subito una attività di analisi. Ma prima di parlare più specificamente dell’analisi vorrei evidenziare un’altra significativa valenza di questa prassi pedagogico-didattica.
Ho potuto constatare come nel ‘fare’, vengano da subito accettati eventi sonori e combinazioni di eventi sonori (composizioni) che difficilmente avrebbero avuto statuto di legittimità se ascoltati in un altro contesto. Ossia, questo lavoro di ‘appropriazione’ (Delalande 2004; 2010) fa sì che vi sia un investimento affettivo capace di rendere possibile un ridimensionamento dei propri pregiudizi, ci si rende maggiormente disponibili verso la/le diversità, di qualunque natura siano. Questa disponibilità appartiene, in genere, ai bambini almeno fino all’età di 11-12 anni, ed è pertanto un’esperienza molto interessante quando viene sperimentata concretamente da adulti in formazione. Ciò che veniva definito negativamente come ‘rumore’, assume un’altra connotazione durante questo lavoro di “appropriazione”, di “investimento” e “condivisione affettiva” con il gruppo: viene considerato come elemento degno di attenzione che può far parte di una struttura e di una forma. (3)
I soggetti in formazione acquisiscono così competenze che gli consentono di saper “accogliere, riconoscere e valorizzare”, le produzioni che i loro studenti (bambini, adolescenti o adulti) gli presenteranno e lo potranno fare solo se loro stessi avranno sperimentato in prima persona un’attività produttiva e analitica di base. È questo un passaggio che ritengo cruciale nella formazione. (4)
Soprattutto i bambini, se ovviamente stimolati a non seguire esclusivamente i luoghi più comuni dell’ascolto e della produzione musicale producono concretizzazioni di progettualità compositive che molto spesso gli insegnanti non sanno decodificare e così si vanificano occasioni preziose per rimandare dei feedback ai propri studenti e per avviare attività analitico/riflessive che Boris Porena rende possibili attraverso una tecnica che definisce “Circuito auto-generativo” (Porena 2017b, p.35) attività che sono fondamentali per far sì che la musica, attraverso la composizione e l’analisi, possa contribuire a quella autonomia di pensiero critico, divergente, creativo, che dir si voglia, di cui tanto si parla da più di mezzo secolo e nelle nostre attuali “Indicazioni”.
Ma a quali indicazioni pedagogiche e strategie didattiche possiamo fare riferimento se utilizziamo il computer, o calcolatore che dir si voglia, nella didattica musicale di base?
Il nodo centrale di una esperienza musicale di base, e in particolare nella sua veste compositiva (che è quella che qui ci interessa) è il binomio “analisi-composizione” che permette di produrre per acquisire riflessivamente strumenti conoscitivi e analitici e riconoscere analiticamente per produrre. È fondamentale specificare che tutto ciò avviene a livello di base, ossia a un livello anteriore all’instaurarsi di una qualsiasi forma di specialismo (Porena 1992). Facendo ascoltare una qualsiasi musica a chiunque sia in possesso di scarse o nulle competenze musicali, solo per il fatto di passare dalla condizione ‘dell’udire’ a quella ‘dell’ascoltare’, si instaura nella loro mente un primo processo di interpretazione che, mancando di evidenti e riconosciuti sistemi di riferimento, possiamo chiamare interpretazione, o analisi, per “contatto diretto”, o di “primo contatto”.
L’esplicitazione verbale produrrà un confronto assai utile tra le interpretazioni, una sorta di ampliamento della mente dalla dimensione individuale a quella collettiva. Ciò aumenterà anche la stimolazione del singolo a ripetere con maggiore attenzione l’esperienza. Le osservazioni che si raccolgono in genere sono di natura globale (colgono un senso generico), non distinguono tra livelli di lettura, in altre parole mancano di un progetto di analisi che definisca questi livelli. Si tratterà in seguito di raggruppare le osservazioni raccolte secondo i più diversi progetti e di direzionarle verso progetti analitici riconosciuti ed esplicitati.
Quale composizione?
Il nodo centrale di una esperienza musicale di base, e in particolare nella sua veste compositiva (che è quella che qui ci interessa) è il binomio “composizione-analisi”. L’analisi viene considerata sia come verifica di ciò che si è prodotto, sia come ricerca delle alternative rispetto a ciò che si intende produrre. È fondamentale specificare che tutto ciò avviene a livello di base, ossia a un livello anteriore all’instaurarsi di una qualsiasi forma di specialismo. Ovviamente bisognerà modulare l’attività compositiva e analitica in relazione al contesto in cui si inserisce, in questo caso le varie fasce di età della scuola (Pezza, Porena, Serena 2006). La composizione è stata da sempre intesa come il vertice dello specialismo musicale, vertice nel quale confluiscono tutte le competenze specifiche del musicista. Da quelle teoriche a quelle pratiche, a quelle analitico riflessive. Oggi però si parla correntemente di composizione e analisi nelle “Indicazioni per curricolo”. Vale la pena soffermarsi ancora un po’ sul termine “di base” che qui connota la ‘composizione’
Questa qualifica va intesa in duplice senso: sociopolitico e psicopedagogico. In senso sociopolitico, in quanto attività così qualificata, è di natura tanto generale, non specialistica, da non escludere di fatto nessuno, per amusicale che sia; nel contempo gli strumenti mentali messi in opera sono in condominio con innumerevoli altri ambiti applicativi, dalla logica alla linguistica, alla psicologia, all’informatica, in breve ha un’ampia valenza interdisciplinare e transdisciplinare (5) di qui l’interpretazione psicopedagogica “di base”.
Altro punto di forza di questa interpretazione metodologica è che l’ambito ‘di base’ non coincide solo con la fase di primo approccio alla musica (se parliamo di analisi si definirà tale pratica analitica come analisi di “primo contatto” (6) ) ma resta il riferimento costante per l’intero itinerario formativo del musicista, esecutore, compositore o musicologo che sia.
Come è noto la scuola si limita a fornire codici già strutturati in tutti i loro particolari (codici linguistici, matematici, codici interpretativi di vario genere); ne d’altro canto sarebbe pensabile una sperimentazione diretta dei processi che hanno portato alla loro costruzione. La metodologia che sto descrivendo dovrebbe essere funzionale per offrire una opportunità di consapevolezza della culturalità (ossia dell’arbitrarietà culturale) delle proprie scelte anche in presenza dei codici più ‘forti’ di cui abitualmente ci si serve. Esistono grammatiche normative, che definiscono l’insieme delle norme che regolano l’utilizzo di una lingua, e grammatiche descrittive che studiano l’origine di una lingua, ne analizzano la situazione in un dato momento storico, stabiliscono corrispondenze tra lingue diverse, studiano leggi generali (Novara 2011, p.56).
Quale analisi?
Mi viene spesso in mente la semplice metafora della rete di Porena (2017a, p.9) che in molte circostanze utilizzo parlando soprattutto con i bambini: se in un lago ricco di specie animali differenti gettiamo una rete a maglie larghe, gli animali più piccoli sfuggiranno tra le maglie e noi saremo tentati di dire che il lago contiene ‘oggettivamente’ solo pesci grossi. Se vi gettiamo una rete a maglie sottili costateremo anche la presenza dei pesci più piccoli, non però del plancton (…). Ogni apparecchiatura usata (ogni quadro culturale, ogni filtro percettivo) ci darà un’immagine della vita nel lago, nessuna delle quali può dirsi “vera” o “falsa” in assoluto ma solo in relazione a quell’apparecchiatura. Si potrebbe allora pensare che l’insieme di tutte le apparecchiature possibili ci darebbe un’immagine oggettiva, veritiera del lago. Ma dove trovare questo insieme, che ci garantirebbe della sua completezza? Converrà rassegnarsi ad accettare l’idea che quella pertinenza è definita da punti di vista parziali.
Quindi, un “progetto analisi” quanto mai vasto poiché nessuna delle immagini forniteci dai vari progetti analitici è più veritiera di altre, soltanto più funzionale all’uso che intendiamo farne. E allora, qual è questo uso? In altri termini, a cosa può servire l’analisi musicale? Prima di rispondere a questa domanda converrà inserire ciò che ho chiamato “progetto analisi” in una catena progettuale che veda come finalità la formazione di un essere umano attento a una cultura della integrazione individuale e sociale.
Quindi un’attività analitica che non sia svincolata da una più propriamente produttiva, compositiva. Nelle varie fasi produttive l’analisi dovrebbe essere sempre presente sia come “momento di verifica di ciò che si è prodotto sia come ricerca delle alternative rispetto a ciò che si intende produrre: analisi non solo dell’esistente ma anche del possibile o, se si preferisce, ‘analisi attuale/analisi potenziale’ (Porena 1992, p.496).
Ma ho già sottolineato come siano importanti, anzi fondamentali, i filtri percettivi (culturali, cognitivi, affettivi) che ciascuno di noi mette in atto durante un processo analitico. L’atto osservante non è mai neutro nei confronti dell’oggetto osservato, in altre parole, conoscere vuol dire interagire significativamente con il conosciuto. Ogni analisi- cioè ogni costituzione di un osservabile- avviene in funzione di scelte, arbitrarie ma non immotivate. Per J.Jacques Nattiez:
«un oggetto qualsiasi assume una ‘signification’ per un individuo che lo apprende quando egli lo pone in relazione con ambiti del suo vissuto, cioè con l’insieme degli altri oggetti che appartengono alla sua esperienza del mondo» (Nattiez 1989, p.7).
Sottolinea François Delalande:
«quando si ascolta un oggetto sonoro non si lavora sul segnale acustico che raggiunge le orecchie dell’ascoltatore, ma su una costruzione ottenuta eliminando i particolari dovuti alle caratteristiche del materiale di diffusione, all’acustica del locale ecc. in quanto si sa che l’ascoltatore stesso saprà tener conto di tali fattori. È dunque sulla base di una conoscenza, perlopiù implicita, delle condotte d’ascolto e di produzione che il ricercatore costruisce il suo oggetto d’analisi. Ciò che definisce, in senso proprio, l’oggetto, cioè ciò che determina i suoi limiti- dove comincia, dove finisce, ciò che lo distingue dal ‘rumore di fondo’- sono le condotte di produzione e di ricezione» (Delalande 1993, p.251).
Le considerazioni di Delalande sembrerebbero piuttosto ovvie se non fosse che proprio su questo ‘ovvio’ normalmente non si riflette mai abbastanza. In altri termini, ogni atto analitico ci darebbe dell’oggetto indagato una certa immagine che lo descrive come appare nell’universo culturale locale in cui il progetto analitico si iscrive. Dice ancora Delalande (cit., p.243)
«Una vera scienza della musica (…) dovrebbe costruirsi all’interno di una relazione stretta ed intima tra l’osservatore e l’osservato, tra l’ascoltatore ed il dato da capire. In altri termini, non potrebbe costruirsi che a partire da una metodologia che consideri il suo oggetto inseparabile dal soggetto che lo percepisce. Una tale idea non potrebbe essere adottata che al prezzo dell’abbandono di un fantasma profondo che anima l’analisi musicale al momento attuale: divenire una vera scienza, cioè comportarsi come le scienze esatte.»
L’atto analitico si configura come produttivo allo stesso titolo di qualsiasi atto compositivo. Ciò non vuol dire che nell’analisi si debba necessariamente ripercorrere l’iter che ha dato origine all’oggetto considerato. Potrebbe darsi benissimo il caso (anzi è molto frequente ed auspicabile che si verifichi) che il percorso analitico sia di tutt’altro tipo, tale che lo stesso compositore dell’oggetto stenterebbe a riconoscervisi; o ancora, che uno stesso oggetto dia origine a percorsi analitici diversi, apparentemente in reciproco contrasto, ma che poi, con opportune strategie, possono rilevarsi complementari e non irriducibili tra loro.
Da quanto detto fin qui si comprende come i percorsi analitici praticabili siano moltissimi, l’importante è mantenere sempre aperta la porta della disponibilità verso il nuovo in quanto ciascuno di noi
«non riceve una visione del mondo, piuttosto ne assume o ne adotta una. Una visione del mondo non è un dato, ma qualcosa che l’individuo stesso, insieme con la sua cultura di cui è partecipe, in parte costruisce; è il modo in cui quella persona organizza dal di dentro i dati della realtà che gli vengono dall’esterno e dall’interno» (Shepherd 1988, p.28).
Analisi e conflittualità
Ogni conflitto tra me e i miei simili deriva dl fatto che non dico ciò che penso
e non faccio ciò che dico. In questo modo infatti la situazione tra me e gli altri si complica
e si avvelena sempre di nuovo e sempre di più.
(Martin Buber)
Durante i corsi di formazione, sia con adulti sia con bambini, emerge sempre qualche aspetto di potenziale conflittualità riguardo alle diverse interpretazioni (analisi) di un brano musicale. È quanto accade normalmente in un contesto classe: le classi sono luoghi con un alto tasso di conflittualità. Niente di più normale che uno stesso brano musicale susciti interpretazioni a volte totalmente diverse, interpretazioni che sembrerebbero incompatibili e che, se non gestite correttamente, possono innescare conflitti oppure lasciare del tutto indeterminate le pluralità delle decodifiche rendendo lecito il messaggio che “tanto tutto è relativo” e lo è, a maggior ragione, il ‘fatto musicale’. Quante volte abbiamo ascoltato questo banale luogo comune : banale e ambiguo, in quanto non rende esplicito il contesto culturale da cui proviene una data interpretazione.
Nell’ambito della sua “Ipotesi Metaculturale”, Porena chiama il contesto di provenienza “Universo Culturale Locale” (UCL). È qui che può svolgere un ruolo significativo l’attività analitica purchè vi sia chiarezza semantica. È necessario costruire le condizioni affinchè le persone imparino a esprimersi e a relazionarsi con gli altri superando dinamiche consolidate e stereotipate. Per rendere più esplicito questo percorso di norma chiarisco la differenza tra “informazione” e “comunicazione”.
Dovrebbero essere concetti ormai scontati ma purtroppo verifico che non è così, e non aver chiara questa differenza può essere fonte di incomprensioni che possono sfociare in aperte conflittualità. In estrema sintesi: l’informazione è il mattone su cui si costruisce la comunicazione. Se vogliamo riferirci all’ambito delle relazioni, Shannon, nella sua nota “Teoria della comunicazione” del 1948 (Shannon, Weaver 1971) si occupa delle relazioni esterne mentre quando parleremo di significati ci occuperemo delle relazioni interne, del ricevente, del destinatario. Fondamentale è la distinzione tra informazione e scambio di contenuti. L’informazione è una variazione e la comunicazione è la ricezione della variazione da parte del contesto. Lapidariamente G.F.Brunelli (7) così si esprime: “l’informazione nasce nella bocca di chi parla ma la comunicazione sta nell’orecchio di chi sente”. Ciò rende legittima, nel nostro caso specifico, la pluralità di interpretazioni purchè vi sia chiarezza linguistica nell’esplicitare il proprio “punto di vista”. E ci si potrà sensatamente confrontare su ciò che rende possibili questa molteplicità interpretativa: i tratti della struttura, ossia delle relazioni tra gli elementi che costituiscono il brano. Se così impostata l’attività analitica può essere un potente strumento di armonizzazione, integrazione e valorizzazione delle diversità.
Un esempio
Propongo all’attenzione del lettore un esempio tra i molti presenti nel mio testo di recente pubblicazione (Pappalardo 2019). Questa pubblicazione ha come oggetto i risultati di una ricerca-azione condotta all’interno del nostro Conservatorio, in convenzione con l’Istituto Comprensivo “Giuseppe Giuliano” di Latina. Un campione di 15 bambini di classe quinta primaria ci ha dimostrato che a questa età (9-10 anni), i bambini sono in grado di comporre, analizzare e condividere le loro scelte compositive in gruppo utilizzando dispositivi digitali (in questo caso pc, notebook o netbook). Non scendo qui in dettagli descrittivi della ricerca che si potranno trovare nel testo citato, propongo un solo esempio, tra i tanti presenti nel testo. Si tratta della composizione di Laura (10 anni) dal titolo evocativo “Sessione spaventosa”. Qui si può ascoltare la registrazione audio del brano e si può prendere visione anche della parte analitica svolta nel laboratorio di ricerca: https://youtu.be/epWHCgSYfr8
È sempre interessante osservare l’attenzione dei bambini quando ascoltano le proprie musiche e quelle dei compagni- ma quali dovrebbero essere le musiche più interessanti all’ascolto se non quelle da loro composte?
Laura ha inconsapevolmente rielaborato un tratto distintivo della composizione di Pierre Henry “Battements” (da “Mouvement-Rythme-Etude”), ascolto avvenuto nel precedente incontro del laboratorio. Il brano di Henry si basa, in estrema sintesi, sulla contrapposizione molto elementare di due moduli variati: il primo è formato da suoni brevi, impulsivi, ritmicamente tendenti a regolarità, il secondo è caratterizzato da suoni lunghi, realizzati con cluster di pianoforte in reverse. http://www.edizioniets.com/audio/9788846754851/Battements_al_6_incontro.mp3.
Laura ha assimilato il pensiero costruttivo di Henry realizzando un brano molto originale ed interessante, che cattura l’attenzione di tutto il gruppo, caratterizzato dalla contrapposizione di un modulo ritmico, irregolare, realizzato con ‘dita su banco’ (file registrato durante il laboratorio) e un cluster di pianoforte, in reverse – file scelto da Laura tra quelli che abbiamo dato loro inizialmente per cominciare a lavorare con suoni campionati.
Michele, bambino sempre particolarmente partecipe, attento e riflessivo, individua subito il file ‘dita su banco’ affermando che “questo suono potrebbe esprimere diverse emozioni in base a quale musica gli viene affiancata”. Michele ci dice in sostanza che gli eventi assumono diverse connotazioni in base alle loro relazioni. Il ‘significato’ (ma sarebbe più corretto dire il “senso”) dipende proprio da queste relazioni. Imberty ci ricorda che:
«L’opera non ha un significato, cioè non permette di definire delle relazioni tra significante e significato paragonabili a quelle del linguaggio […] Il senso è tutto ciò che si trova al di là della ‘letteralità’ dei codici. Per esempio, posso leggere, enumerare i significati di un poema: essi sono allo stesso tempo molteplici e precisi perché le parole rinviano al codice della lingua. Posso tradurre il poema in prosa per ciò che riguarda i suoi significati ma non il suo senso. Il senso oltrepassa i significati in quanto è legato alla forma poetica, in quanto è immanente ad essa. Un monumento […] ha un senso: si fa amare o detestare senza che i significati siano individuati in modo chiaro e lucido. Il senso si percepisce senza ricorrere alla parola» (Imberty 1986, pp. 56-57).
È tuttavia compito dell’analisi, almeno come viene qui intesa e praticata, ‘dare voce’, trovare le parole affinché si possa affinare la capacità di verbalizzazione adeguata nel passaggio tra emozioni e sentimenti, dalla sfera intima, privata che attiene alla sfera emozionale, alla sfera sentimentale dove l’emozione, traducendosi in sentimento, possa avvalersi di canali comunicativi verbali, senza ricorrere necessariamente ad un atto dimostrativo.
Una competenza linguistica che consenta di acquisire capacità descrittive utili a ridurre il più possibile il ‘rumore’ che molto, troppo, spesso interferisce nella relazione tra individui ancor prima che l’informazione diventi comunicazione (8)
Ascoltando un suono che segue una certa evoluzione [i bambini] fra i tre e sette anni, sono capaci di rappresentarsi un movimento. […] : tensioni, sensazioni di velocità che si provano muovendosi. Sono le sensazioni cinestetiche che, secondo Francès, sono in rapporto con le nostre emozioni e i nostri affetti» (Delalande 1993, pp. 80ss). A circa 5’ nel video, sempre Michele, ma su suggerimento di Giulia, permette di richiamare un concetto che avevamo già affrontato in uno dei precedenti incontri: quello di ‘Figura/Sfondo’. Concetto, com’ è noto, fondamentale nella teoria della Gestalt. Si trova anche un accordo su una possibile organizzazione formale: il brano è formalmente definito come A A’ B, forma che viene giustificata in base ai rapporti di analogia e differenza.
Ma arriviamo ad affrontare un tema di grande interesse: la relazione con il titolo, “Sessione spaventosa”.
È particolarmente interessante questa discussione in quanto riguarda aspetti ‘poietici’ ed ‘estesici’. I bambini sono molto interessati e attenti a impadronirsi di un lessico adeguato a descrivere, in modo appropriato, ciò che si vuole dire. Molto significativa l’espressione di Laura quando rammenta il significato di questi due termini, “Poietico” ed “Estesico” (a 9’40” del video). Si rileva pertinente introdurre nel laboratorio una breve riflessione sulla differenza tra informazione e comunicazione.
In sintesi: tra l’effetto spaventoso che il brano dovrebbe avere, secondo le intenzioni dell’autrice, e l’effetto rassicurante, ripetitivo, di una Ninna Nanna, stando a quanto ci dice Federico, c’è una distanza enorme, sembrerebbe incolmabile.
Com’è possibile che si verifichi una tale discrepanza interpretativa? In realtà è quanto di più normale possa accadere quando si ascolta un brano di musica -qui parliamo di musica, ma è evidente che possiamo riferirci a qualunque atto implichi una intenzionalità comunicativa tra esseri umani. Emerge dalla discussione con i bambini che a parità di informazione le differenze interpretative possono essere molteplici (in relazione a quanti sono coloro che ricevono una data informazione), e quindi che c’è una differenza sostanziale tra informazione e comunicazione, in quanto la comunicazione è il dato (l’informazione) che ciascuno elabora in base al proprio “interno” (9)
Spesso gli insegnanti si trovano nella difficile situazione di dover gestire in classe tali divergenze interpretative, e non è inusuale che, come ‘via d’uscita’, la soluzione praticata sia rendere lecito il messaggio che “tanto tutto è relativo”.
Quante volte abbiamo ascoltato questo luogo comune: banale e ambiguo, in quanto non rende esplicito il contesto culturale da cui proviene una data interpretazione (Pappalardo, 2019 p. 51). Il proprio punto di vista, o di ascolto, la propria modalità di decodifica, va sempre rispettata e valorizzata come potenziale arricchimento epistemologico all’interno del gruppo classe. Nessuno metterà mai in dubbio la legittimità che a Federico lo stesso brano musicale destinato a suscitare spavento possa risultare di una noia rassicurante. Ma è necessario che ci si abiliti ad esplicitare quali sono gli elementi costitutivi (in sintesi, strutturali e formali) che possono suscitare stati affettivi così contrastanti. Sembra sia sensato affermare che ciò che si possa sensatamente condividere, e sul quale sia rilevante e necessario discutere, siano le relazioni tra gli elementi costitutivi del brano.
Conclusioni
Prendendo spunto dai contenuti dichiarati nelle vigenti “Indicazioni nazionali per il curricolo del primo ciclo d’istruzione” e dai suggerimenti didattici presenti nella normativa, ho cercato di discutere quale possa essere il ruolo, chiarendone le potenzialità e i limiti, della “Composizione e dell’Analisi” nell’ambito della Formazione dei docenti di discipline musicali e delle inevitabili ricadute che tale formazione dovrebbe avere nei concreti contesti operativi con bambini e adolescenti. Discostandomi radicalmente da concezioni pedagogico-didattiche che tendono a considerare marginali il ruolo della Composizione e dell’Analisi, ho cercato di ridefinirne i contenuti esplicitando le premesse, i riferimenti epistemologici, che mi hanno guidato in tale ridefinizione.
Mi sono chiesto quale formazione possa essere oggi adeguata, dato che siamo immersi in una evidente mutazione antropologica, poiché è la prima volta che una generazione successiva insegna qualcosa alla precedente: ci si riferisce qui soprattutto all’uso delle tecnologie digitali e ci si interroga su quale possa essere la loro portata autenticamente educativa, e quindi integrativa, sia per l’individuo sia per la comunità scolastica. Per ovvie ragioni di spazio, ho proposto un solo esempio audio-video, la composizione di una bambina di 10 anni, Laura, e della relativa analisi svolta in gruppo. Basandomi sulla mia consolidata esperienza di formatore sono convinto che i dispositivi digitali, a patto che il loro uso sia sostenuto da una corretta pedagogia, possano essere funzionali a una “riprogrammazione” espistemica negli attuali contesti formativi con bambini, adolescenti e adulti (docenti, in questo caso specifico) e possano essere altresì di significativo supporto alla gestione delle conflittualità. Per un approfondimento sulla differenza tra Informazione e Comunicazione si veda Pappalardo (2019, pp. 36-37; 52
Note bibliografiche
1) Questo contributo elabora contenuti di un saggio dell’autore presente in Quaderni di Pedagogia e Comunicazione Musicale, n.7, 2020
2) Con algoritmo intendo una attività esclusivamente procedurale. Una ricetta da cucina è, in fondo, un algoritmo.
3) Spesso i due termini, struttura e forma, si intendono come sinonimi, tuttavia si riferiscono a due livelli di organizzazione diversi che è utile esplicitare anche in una attività analitica musicale di base. Cosa intendiamo con il termine struttura? Dato un insieme di termini individuato da un elenco, la struttura dell’insieme è completamente indeterminata visto che quell’insieme può essere il campo di molte relazioni e nulla possiamo inferire dal semplice elenco che riguardi la struttura. Un semplice elenco lascia del tutto indeterminata la struttura. Questo elenco (insieme) costituisce una totalità ma se la totalità deve avere qualche specifica funzione o manifestazione, il semplice elenco non ci dirà nulla e dovremo aggiungere all’elenco qualche proposizione relazionale, dovremo cioè chiamare in causa qualche relazione tra i termini dell’elenco. Una struttura è l’ordine implicato dai rapporti dei termini in base alla loro relazione. Senza qui dilungarci, potremmo sinteticamente definire la forma come “l’aspetto fenomenico di una struttura”.
4) “Come ogni buon insegnante sa, i metodi dell’istruzione e la quantità di programma svolto sono questioni di poca importanza se confrontate con la capacità di suscitare la curiosità naturale degli studenti e di stimolare il loro interesse a compiere ricerche in modo autonomo. Ciò che gli studenti imparano passivamente sarà presto dimenticato. Ciò che gli studenti scoprono da soli quando la curiosità naturale e i loro impulsi creativi sono sorti non solo sarà ricordato ma sarà la base per ulteriori ricerche e, forse, significativi contributi intellettuali”. (Chomsky 1998, p.115).
5) “Il contributo forse più importante che proviene da un approccio transdisciplinare è la sua intrinseca capacità di generare nuove forme di pensare attraverso la messa in contatto dei saperi, secondo quel processo di cross-fertilization – di positiva disseminazione reciproca – che è largamente diffuso in ambito scientifico. L’adozione di tale approccio richiede però da parte dell’organizzazione scolastica una revisione profonda del modo di concepire il proprio intervento educativo, in riferimento sia alla strutturazione della didattica che ai livelli e alle aree coinvolte nel progetto di formazione. L’impianto tradizionale della programmazione educativa è infatti di tipo disciplinare, fondato su un’idea di sviluppo lineare del curriculum che progredisce da un’unità di apprendimento alla successiva in un determinato periodo di tempo […]” (Davigo 2006).
6) “Per analisi musicale di primo contatto intendo una attività conoscitiva svolta al minimo della competenza specifica ed utilizzante, essenzialmente, ma non solo, strumenti logici elementari della massima generalità. Non è un gran che come definizione: troppi termini restano fortemente ambigui: che cosa sia competenza, quale un suo uso ipotetico minimo, che cosa gli strumenti logici elementari, che cosa un’attività conoscitiva non lo sappiamo con la precisione richiesta, appunto, da una definizione, ma penso che dovremmo accontentarci per ora, salvo scendere in maggiori dettagli in fase applicativa”, (Porena 2017a, p.69).
7) Giulio Flaminio Brunelli, biologo, medico, ricercatore http://www.edueda.net/index.php?title=Brunelli_Giulio_Flaminio
8) Sulla definizione di ‘Comunicazione’ e ‘Informazione’ si veda Pappalardo (2019), p.52.
9) Per un approfondimento sulla differenza tra Informazione e Comunicazione si veda Pappalardo (2019, pp. 36-37; 52)
Emanuele Pappalardo
Studia Composizione, Musica Corale e Direzione di Coro, Musica elettronica e Chitarra presso il Conservatorio “A. Casella” de L’Aquila.
All’attività di compositore affianca interessi musicologici con particolare attenzione per la produzione vocale tardo rinascimentale. È autore di un testo analitico sul rapporto tra Poesia e Musica nel Madrigale tra Cinque e Seicento (Roma, 1992). Suoi lavori sono stati eseguiti in quasi tutti i paesi europei e Stati Uniti, Argentina, Canada, Brasile, Cina. Dal 1986 al 1998 ha collaborato con RAI Radio-Tre e Radio-Due. È stato ideatore, direttore artistico e organizzatore del I incontro di musica contemporanea tra Italia e Cina (Pechino, 1996).
Nel 1996 ha ideato il concerto Canto gregoriano e musica elettronica (con la direzione musicale di Giacomo Baroffio) e nel 2003 Sopra i monti degli aromi (su testi tratti dal Cantico dei cantici); in entrambi i progetti si realizza la possibilità di modulare realtà culturali e musicali molto distanti tra loro. Nel 1998 la Radio Vaticana gli ha commissionato un lavoro sulla figura di Maria nelle Sacre Scritture.
Nel 2012 ha ideato e organizzato, insieme a Marco Di Battista, giornalista e produttore dei programmi musicali della Radio Vaticana, il I Convegno Internazionale su La creazione musicale dei bambini e degli adolescenti nell’era digitale (con la direzione scientifica di François Delalande).
Dal 2004 al 2006 è stato presidente della Sisni (Società Internazionale di Somato Noologia Integrale), fondata da G. Flaminio Brunelli. Svolge intensa attività di formazione (anche con incarichi diretti del MIUR) rivolta a docenti di discipline musicali di scuole di ogni ordine e grado nell’ambito dell’utilizzazione delle tecnologie digitali. È autore di numerosi saggi e articoli su tematiche riguardanti la composizione, l’analisi, la pedagogia e la didattica musicale e del recente testo Composizione, analisi musicale e tecnologia nella scuola primaria. I bambini compongono, raccontano, analizzano, riflettono, 2019, ETS, Pisa.
È titolare degli insegnamenti dell’area compositiva nel dipartimento di Didattica della musica del Conservatorio “Ottorino Respighi” di Latina.
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