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Pensieri disordinati sull’ascolto e sull’ascoltare
di Fabrizio Casti
31 dicembre 2019
…e il silenzio si posa, un cambio netto e totale di clima, di atmosfera, dove tutto si posa, dove l’aria si addensa a fare spazio alle nostre forme restituendoci tattilmente i nostri confini corporali, dove gli odori si acuiscono e un silenzio quasi irreale irrompe sonoramente e si mostra in tutta la sua autorevolezza. In realtà chiamiamo silenzio non tanto l’assenza di elementi sonori ma la nostra improvvisa disposizione ”all’ascolto”, la certezza di essere cosi presenti a noi stessi da immaginarci potenti e autorevoli, in grado di…
Sul piano sonoro ci sentiamo come Geoffrey Streamer che prepara una pozione magica da applicare alle orecchie che permette di udire tutti i suoni nel raggio di cento miglia: “latrati di cani, grugniti di maiali, lamenti di gatti, lo scorrazzare di topi, schiamazzi di oche, ronzii di api, {…} lo starnazzare di gallinacei, la fuga delle canaglie, il russare degli schiavi, le scoregge degli zotici, l’effervescenza delle ragazze, {…} rintocchi di campane, conteggi di campane, conteggi di monete, incontri di genitali, sussurri di amanti1”.
Questo stato di gioia, l’essere nelle nostre competenze, in un fare alla nostra portata, si manifesta perché in quei momenti si ha la sensazione che l’esperienza umana possa essere resa solo attraverso una democrazia dei sensi2.
Nella gerarchia dei sensi, lo status dell’udito è nettamente inferiore a quello della vista ma conoscere il mondo attraverso il suono e il sonoro è fondamentalmente diverso da conoscere il mondo attraverso la vista3, e questo ha avuto come conseguenza il fatto che l’esperienza degli altri sensi ne sia stata pesantemente condizionata, riducendo il sapere all’aspetto visuale e ponendo gravi limiti alla nostra capacità di afferrare significati anche connessi a molti comportamenti sociali.
Per conoscere il mondo attraverso il sonoro è necessario stabilire una nuova connessione al sonoro. Operazione complessa da ri-costruire perché “il sonoro mette a dura prova il nostro senso sociale4”, permette agli individui di creare spazi intimi, adattabili, estetizzati in cui abitare, ma può diventare anche un frastuono indesiderato e assordante che minaccia il corpo del soggetto.
Il suono ci fa ripensare il significato, la natura e l’importanza della nostra esperienza, ci fa ripensare il nostro rapporto con la comunità, ci fa ripensare le nostre esperienze relazionali, il modo in cui ci relazioniamo agli altri, a noi stessi, agli spazi e ai luoghi che abitiamo, il suono ci fa ripensare la nostra relazione con il potere5.
Fare un’esperienza effettiva dell’ascolto vuol dire fare una cosa straordinariamente difficile, cambiare attitudine d’ascolto: esiste di solito “un netto distacco tra gli esseri umani e la loro esperienza effettiva6”, non sempre siamo pienamente coscienti di ciò che sta facendo la nostra mente mentre fa, non sempre siamo presenti con la nostra coscienza, come dire che non sempre siamo presenti alla nostra vita mentre la stiamo vivendo. Per fare una esperienza significativa bisogna imparare a liberarsi “del completo che indossiamo per muoverci normalmente, l’imbottitura che sostiene abitudini e pregiudizi, l’armatura che di solito ci distanzia dalla nostra esperienza7”, con una “pratica dell’aver cura8”.
La “pratica dell’aver cura9”, considera le maniere di esistere secondo il proprio poter essere più proprio, e non secondo il modo comune che s’impone nell’ambiente che abitiamo … un modo dove il poter essere è già deciso.
Come fare per ri-attivarsi? Come andare a riprendersi?
Le abitudini e i pregiudizi coinvolgono sia la nostra esperienza d’ascoltare il sonoro sia la nostra capacità di ascoltare noi stessi e l’altro, esperienze che dovrebbero essere in equilibrio.
La musica si allarga al sonoro in un’azione d’ascolto che spinge a conoscere il mondo attraverso il suono in cui tutte le componenti sono parte attiva del processo costituendo in questo modo un fatto sonoro totale.
Dobbiamo ri-trovare le condizioni per ri-attivare, per andare a riprendersi un pezzo di mondo considerando l’ascolto non solo come strumento di riconoscimento di segnali, pericoli, forme, strutture, note, melodie, parole, armonie o altro ma anche come artefice della nostra capacità di aver cura di sé in relazione alla geografia del nostro vivere.
L’orecchio e l’occhio
“L’occhio è un senso periferico; è rivolto all’esterno, coglie sempre soltanto l’uomo esteriore. L’orecchio invece è un organo centrale: attraverso l’orecchio il mondo esterno entra nell’anima umana, esso coglie l’uomo interiore, l’uomo nascosto10”. In generale si può pensare che “l’occhio guida l’uomo nel mondo, l’orecchio porta il mondo nell’uomo11”.
L’orecchio non ha la possibilità di esplorare una cosa più volte, basti pensare alla velocità e alla singolarità della parola parlata e all’impossibilità di articolarla un’altra volta in modo identico. “Nel suo modo di lavorare, nei suoi meccanismi di decodificazione, l’orecchio deve avere la sicurezza immediata;
l’occhio invece, se ritiene di potersi essere sbagliato, può tornare a guardare quante volte vuole, anzi, la sua stessa possibilità di ingannarsi è diventata per lui un’esperienza talmente ricorrente che si è abituato a esplorare più volte l’oggetto della sua percezione12”.
L’occhio è troppo veloce per avere dei punti fissi da osservare. “L’orecchio è calmo, mille volte più lento dell’occhio. si concede tempo. Sa che la fretta non ha importanza, perché tutto è qui e ora. Per questo è più accurato e più esatto.
L’orecchio trova, l’occhio cerca13”. L’ascolto induce all’attenzione del presente, dell’adesso, ad una consapevolezza di ogni istante, ad un essere presenti alla nostra vita mentre la stiamo vivendo.
Sentire e ascoltare
L’uomo vuole sentire, o meglio, l’embrione vuole sentire e l’ascolto è la funzione sulla quale si fonda tutta la dinamica umana del linguaggio e della comunicazione, della relazione e dell’evoluzione instaurandosi fin dal principio della vita nel profondo della notte uterina. Infatti, già pochi giorni dopo il concepimento, l’embrione comincia a formare gli orecchi. Ricava ancora tutto dalla mamma14, ma vuole avere un orecchio suo. A circa 5 mesi dal concepimento la coclea è già pienamente formata e ha raggiunto la sua grandezza definitiva. Anche a partire da questo dato, Anzieu ha formulato il concetto di involucro sonoro del se15che definisce un primo stadio di una pur confusa identità.
Orecchie passive
L’orecchio normale, senza aiuti esterni, assorbe tutti i suoni alla sua portata, sia che vogliamo ascoltarli, che siamo indifferenti o che facciamo ogni sforzo possibile per ignorarli. In realtà l’orecchio umano è un agente attivo a pieno titolo, e non un semplice ricevitore ben sintonizzato. Il fatto che l’udito umano sia costante, involontario e attivo in un mondo dedicato ventiquattr’ore su ventiquattro all’eccesso e all’efficienza costituisce la minaccia principale per l’orecchio. Fino alla Prima guerra mondiale gli elementi più sorprendenti della società moderna erano uditivi: il grammofono, la radio, il telefono, il treno, la metropolitana, l’altoparlante, l’artiglieria, martelli pneumatici, torni, ticchettii, cigolii, lavatrici, aspirapolveri, auto, moto, macchine da scrivere, tutti i tipi di macchine prodotte in massa che invasero la casa, gli uffici e le strade pubbliche. In questa era l’udito era cruciale per farsi strada nel mondo e per evitare di essere investiti mentre si attraversava la strada o i binari del treno16, reminiscenze antiche.
Il rumore, con i suoi pericoli, è l’elemento inevitabile della modernità, ma, perché non ci difendiamo? Altre forme di sordità incombono, infatti “in ogni società è possibile riconoscere individui o classi le cui orecchie sono aperte, e altri le cui orecchie sono chiuse. Le domande da porre son le seguenti17:
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Chi sta ascoltando?
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Che cosa sta ascoltando?
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Che cosa sta trascurando o rifiutando di ascoltare?
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Il sonoro quotidiano
Il sonoro accompagna la nostra quotidianità: svegliarsi, camminare, guidare, lavorare e perfino addormentarsi sono tutte azioni compiute con la musica o con qualche altro accompagnamento acustico. Questi suoni, sveglie, sirene, frenate, bus, treni, tastiere, cellulare, etc., sono promemoria penetranti che ci ricordano che la maggior parte di noi vive immerso in un mondo di suoni.
Il suono è stato un oggetto di studio trascurato, è uno stimolo molto efficace e allo stesso tempo evanescente, molecole d’aria colpiscono i timpani dell’ascoltatore e provocano vibrazioni nel corpo, vibrazioni che possono essere sentite anche nelle viscere oltre che nelle orecchie, si tratta di una esperienza anche fisica. Ma al tempo stesso il suono si disperde rapidamente nel nulla, sarà forse questa la ragione della sua difficoltà di studio considerando che non sta immobile a farsi ascoltare? La diffidenza e l’inquietudine della nostra cultura di fronte ai suoni non verbali ha una storia lunga, e poco è cambiato ancora oggi.
Suoni pericolosi
Le città sono più rumorose di quanto non siano mai state in passato, e tanti si lamentano dei livelli di rumore, di questa massa di rifiuti percepibili all’orecchio18, ma come ulteriore segnale di come l’uomo sia focalizzato sulla vista si consideri che relativamente alla spazzatura, quella percepibile alla vista è portata via dall’apposito personale, ma quella percepibile all’udito rimane indisturbata tanto da far prevedere che verrà un giorno in cui l’uomo dovrà combattere il rumore come un’epidemia. Nella civiltà in cui viviamo possiamo sentire il rumore fisicamente pressoché dovunque. Non c’è più silenzio.
D’altra parte, il suono crea connessioni tra le persone, le riunisce. Le folle dei tifosi del calcio, i rave, le manifestazioni e in certi rituali religiosi si crea un fenomeno definito dominanza sonora19. La dominanza sonora è dura, estrema ed eccessiva, al tempo stesso il suono è anche dolce e avvolgente e contribuisce alla creazione di un’esperienza avviluppante e intensa. Il suono pervade o addirittura invade il corpo, come un odore. Ti perdi al suo interno, vieni sommerso da lui. Il volume del suono ti crolla addosso, senti la pressione del peso dell’aria come durante un’immersione in acque profonde. Il suono a questo livello non può che toccarti e connetterti con il tuo corpo20.
Voce, parola, linguaggio
La voce è primariamente suono, la sua natura è essenzialmente fisica, corporea. Prima ancora che la parola si articoli nella voce c’è in potenza il desiderio al “volerdire, all’esprimere, all’esistere21”. “Quando ti rivolgi a me non è soltanto perché hai una informazione da comunicarmi, è anche per costringermi a riconoscere questa tua intenzione, a sottomettermi ad essa, e a dedurne tutto quello che tu vuoi che io sappia di te e della posizione che occupi nell’universo22”. La voce costituisce una forza archetipica, la voce dice e dicendo manifesta la volontà di esistere, anche quando le emozioni molto intense suscitano l’emissione della voce non nel linguaggio ma nel “grido inarticolato, il gemito puro, il vocalizzo senza parole”23.
Ma, quanti peccati nella voce? E quanti rimedi nel silenzio24?
La voce è necessaria e di essa il buon cristiano non può farne a meno per le sue preghiere e nei suoi canti di ringraziamento. Hildegard von Bingen immaginava che l’anima avesse una struttura musicale, dove il silenzio è concepito come il momento dell’ascolto, quando l’uomo è vicino a Dio.
Jaynes25 scrive che nei tempi antichi i messaggi degli Dèi erano uditi e le loro voci erano presenti nelle menti delle persone con una forza sorprendente, oggi sentono queste voci solo persone che la società considera pazze, la voce interiore è un sintomo di disordine psichico.
Gli affetti dal vizio della superbia, con il tono e il ridere fragoroso, o l’eccesso di parole o con risposte nette e aspre davano segni di non accettazione della condizione di umiltà e di sottomissione, mentre gli affetti dall’ira erano inclini alla bestemmia, l’insulto, alla minaccia e alla maledizione.
Anche strumenti fonatori come la gola potevano essere pericolosi, nel vizio si diventava scurrili, ottusi di mente, scioccamente allegri e parlatori a sproposito. Unico piacere consentito era quello della parola costituita in preghiera e del canto, tutte le altre espressioni sonore avrebbero dovuto essere ridotte al silenzio.
La bocca è un altro organo estremamente pericoloso, soprattutto per le vergini e per le vedove, è la porta della dimora dell’anima che, al pari di quella di una casa, è opportuno che stia chiusa il più possibile.
La voce si può descrivere scientificamente come hanno fatto i linguisti a iniziare da de Saussure e Jakobson dove “tutto può essere esternamente detto (tono, timbro, frequenza, altezza, vivacità, colore, profondità, registro, ampiezza, livello, …), mentre nulla può venir descritto pienamente circa la sua sostanza interna, che è quella del flusso, del brivido e del sospiro26”.
Suono, voce e presenza
La voce oggi arriva molto spesso mediata, dalla radio, dalla Tv, dal cinema, dal web, dai podcast, dal numero verde di un servizio assistenza ma, è una voce a cui non si può rispondere, spersonalizzata nel suo ripetersi all’infinito. Il locutore è scomparso, l’ascoltatore è reale e presente nell’atto di ascoltare, ma la sua presenza è intercambiabile, non autentica27. Anche il sonoro percorre spesso la stessa via per arrivare alle nostre orecchie e in quest’atto sono presenti i sensi coinvolti nella percezione a distanza non quelli di un confronto reale con il portatore di voce o di suono, i sensi si confrontano con il sonoro giunto da un altrove.
I media hanno colto nel desiderio di attuare una presenza la possibilità che essa non sia solo immaginazione o parvenza ma giochi con la presenza reale degli altri, che giochi usandone la presenza reale come garanzia di una sostituzione28. Il cellulare offre i suoni dell’intimità ovunque si trovi l’utente è il suo suono trasforma lo spazio pubblico in proprietà privata. Casa mia è dove sono i miei suoni. Penso che la voce che sento al telefono sia la tua perché so che tu esisti, e dimenticando l’essenza di filtro del telefono, la sua essenza mediante mi richiama, mi riflette, mi “evoca una presenza, pur senza renderla effettiva29” una presenza metonimica, una parte per il tutto30.
È straordinario come una tecnologia della voce come il cellulare abbia modificato le nostre abitudini di vita permettendoci di portare sempre con noi il nostro universo di relazioni. “Noi siamo le persone che conosciamo, che amiamo, che corrispondono al nostro mondo, noi siamo il nostro mondo31”.
Valori del suono e ponti sonori
I suoni incorporano significati culturali e personali, non ci arrivano nudi e crudi. Moore32 descrive il suono tambureggiante sordo degli elicotteri Chinook sospesi sopra gruppi contrapposti a Belfast: per i protestanti rappresentava la sicurezza, per i cattolici la minaccia, per tutti gli altri era una scena di Apocalypse Now. La loro presenza indicava a tutti che gli scontri avevano assunto una dimensione grave. Si usa il termine ponte sonoro33 per descrivere il modo in cui la musica o il sonoro collega l’interno e l’esterno dell’esperienza sociale in una rete priva di soluzione di continuità. Ma il fatto che la tecnologia ha separato i suoni dalle loro fonti e li ha resi infinitamente ripetibili, ha creato una schizofonia34 probabilmente più grande di qualsiasi senso di alienazione di cui possiamo fare esperienza in termini visivi. L’auricolare costituisce l’emblema delle tecnologie urbane di s-personalizzazione, dal momento che consente agli utenti di costruire il proprio mondo sonoro individualizzato ovunque vadano. L’esperienza viene estetizzata e il mondo diventa ciò che uno vuole che sia. Comminando per la città con gli auricolari, si possono filtrare i suoni casuali della strada e sostituirli con i suoni scelti da noi, nuovi territori sonori si compongono nel corso di questa esperienza di ascolto in movimento.
Gli auricolari si costituiscono in questo senso come scudo che ci protegge dal coinvolgimento, ci permettono di stazionare momentaneamente fuori dal mondo neutralizzando l’identità sonora dei luoghi ma anche escludendoci.
In generale la relazione degli individui con il suono negli spazi quotidiani della città tende a essere segnata dalla distrazione piuttosto che dall’attenzione, è un atteggiamento che attenua la percezione della sfera uditiva e visiva dando l’illusione che le persone che ci parlano per strada non possano essere ascoltate, una forma di sordità sociale dove si ha l’impressione liberatoria che nessuno sta parlando e nessuno sta ascoltando.
Prendersi cura
La condizione umana è di natura relazionale e ci predispone alla necessità di relazione con l’altro perché nessuno è autosufficiente nella costruzione del proprio senso d’esistere. La cura diventa pratica di attenzione dentro e fuori di sé per la costituzione dell’essere nel proprio mondo ma non in un io isolato dal modo. “Lévinas sostiene che è quando mi confronto con il volto dell’altro che la sua nudità e la sua vulnerabilità mi chiamano a un’infinita responsabilità35”, parla del volto36, parte sempre esposta che veicola la presenza, “il volto è senso da solo: tu sei tu37”, con il volto ma anche con la voce, con il sonoro quindi, ci rivolgiamo gli uni agli altri, “con la voce e nel volto ci presentiamo, veniamo agli altri, e gli altri vengono a noi38”.
Una cura particolare va riservata alle parole, poiché le parole strutturano il luogo dell’essere, allora la primaria forma di cura del pensare consiste nell’aver cura delle parole, così che il dialogo sia un buon modo di porsi in relazione con gli altri39. C’è un modo di pronunciare le parole che vuole sottomettere la realtà, un altro che invita a costruire comunità con gli altri. Il potere delle parole di fare bene o male all’esserci è altissimo, possono procurare sofferenze o essere la medicina per l’anima, possono annichilire il pensiero o fecondare la vita della mente, per questa ragione ci vuole la massima cautela nel loro uso, le parole che si dicono o quelle che si ascoltano possono inquinare e chiudere definitamente il dialogo anziché tenerlo aperto o disponibile.
Chi ascolta ha disattivato i propri dispositivi cognitivi anticipatori nei confronti dell’altro ma ha attivato quelli di attenzione aperta ed accogliente, lasciando uno spazio dentro di sé, uno spazio per l’altro. Un tempo anche, dare tempo al vivere dell’altro aspettando il momento opportuno.
Nell’attesa, di riuscire a incarnarsi in questa attitudine, di ri-attivarsi, a volte, pur di iniziare, a volte dico, si può cominciare, andando a riprendersi, dal sonoro.
1Baldwin (1995).
2Berendt (1999) p. 35.
3Bruce R. Smith (2008) p. 88.
4Bull-Back (2008) p. 9.
5Ivi p. 11.
6Varela (1992) p. 102.
7Ivi p. 102.
8Mortari (2006).
9Ivi
10Diether Rudloff, in Berendt (1999) p. 11.
11Lorenz Oken, in Berendt (1999) p. 11.
12Manfred Spreng, in Berendt (1999) p.19.
13Berendt (1999) p. 20, 21.
14Tomatis (1996).
15Anzieu (1994) p. 195.
16Schwartz (2008) p. 335-343 da cui cito
17Schafer (2008) p. 29.
18Schwartz (2008) per un breve resoconto storico.
19Henriques (2008) p. 305.
20Ivi p. 305-307.
21Bologna (1992) p. 23.
22Zumthor, in Bologna (1992). IX.
23Zumthor, in Bologna (1992) p. VII-IX.
24Mancini (2008) p. 83-88 su alcuni aspetti legati alla voce e al silenzio nell’antichità.
25Jaynes (1996).
26Bologna (1992) a lui mi riferisco per tutto il paragrafo.
27Zumthor, in Bologna (1992) p. IX.
28La Cecla (2006) p. 5.
29Ivi p. 5.
30Sul come la tecnologia sta cambiando il nostro sociale vedi Granieri (2009).
31La Cecla (2006) p. 38.
32Moore (2008).
33Thibaud (2008) p. 204.
34Bruce R. Smith (2008) p. 87.
35Ivi p. 75.
36Lévinas (2008) p. 89.
37Ivi p. 90.
38Sparti (2006) p. 162.
39Mortari (2008) p. 62-64 e p. 100 da cui cito.
Fabrizio Casti
[1960] La sua estetica deriva essenzialmente dalla composizione strumentale, ma compone anche per strumenti e live electronics, opera nell’ambito dell’installazione d’arte, del multimedia, delle arti visive e dell’improvvisazione elettroacustica. Ha studiato composizione a Cagliari con Franco Oppo e musica elettronica a Venezia con Alvise Vidolin. Ha partecipato con commissioni, inviti e performance a Festivals e Rassegne nazionali e internazionale. È Direttore Artistico della Associazione Spaziomusica che con le sue attività si occupa di produzione, promozione e diffusione della musica e delle arti performative contemporanee. Sue musiche sono pubblicate da RaiTrade, dalla Ricordi e da Ut Orpheus e incise su CD dalla ECM, dalla Stradivarius, dalla Nuova Fonit-Cetra, da Spaziomusica, dalla LIMEN, dalla Nuova Era e da Warsaw Automn e Inire. È docente presso il Conservatorio Statale di Musica di Cagliari dove insegna Elementi di Composizione e analisi musicale nel Corso di Didattica della Musica e Analisi delle forme compositive in quello di Musica Elettronica.
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