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Psicologia della musica
di Tomaso Vechi
31 Dicembre 2018
L’idea che la psicologia della musica possa essere considerata una funzione cognitiva a pieno titolo non è recente. Anzi, già all’inizio dell’ottocento, con le prime teorie della facoltà, lo sviluppo della frenologia, è possibile ritrovare le ipotesi secondo cui la musica fosse riconducibile a una specifica abilità cognitiva con un substrato neurale chiaramente identificabile. In quegli anni parlare di psicologia della musica è forse eccessivo, la competenza musicale era spesso un insieme di abilità che non distinguevano chiaramente tra comporre una sinfonia o suonare uno strumento. In parole moderne, era difficile separare le abilità motorie necessarie a suonare uno strumento, da quelle di ascolto e comprensione musicale piuttosto che dalle regole anche sintattiche necessarie a comporre una partitura complessa. Tuttavia la musica era presente con una sensibilità che spesso è poi andata perduta nei decenni successivi. Con la nascita della psicologia sperimentale, nella seconda metà del XIX secolo, lo studio della musica è stato abbandonato, si parlava di percezione del suono, di psicofisica, di psicologia del linguaggio, e sono passati almeno cento anni prima che la musica tornasse, timidamente, ad essere trattata nello sviluppo dei modelli di funzionamento mentale.
Negli ultimi anni, l’interesse per questa disciplina è stato in continua crescita, anche attraverso conoscenze ottenute con l’aiuto di un progresso tecnologico che non è stato possibile ignorare. Lo sviluppo delle neuroscienze, l’iniziare a vedere – per la prima volta – come il nostro cervello svolge un compito cognitivo o reagisce a uno stimolo esterno, ha dato un grande impulso e, indirettamente, ha aiutato anche lo sviluppo della psicologia della musica. La comprensione dei processi di percezione e di produzione musicale si è affiancata alle conoscenze sulle aree cerebrali che sono coinvolte, sulla relazione tra questi processi mentali e i meccanismi e le aree di funzionamento che ne sono alla base. L’interesse sperimentale si è affiancato ala pratica clinica, la musicoterapia ha affinato le sue tecniche con l’aiuto di una comprensione sempre maggiore dei processi mentali coinvolti.
Lo sviluppo delle neuroscienze ha portato a notevoli benefici per la psicologia ma allo stesso tempo ha aumentato esponenzialmente la complessità dei problemi trattati. Non solo le tecniche di neuroimmagine sono una disciplina in recente evoluzione, con limiti ed errori che non è possibile valutare adesso con esaustività, ma le caratteristiche stesse, i pregi delle discipline musicali, portano a una difficoltà di indagine che non è sempre possibile affrontare con gli strumenti a nostra disposizione. In questi ultimi anni si è diffuso un grande interesse per quelli che vengono definiti i processi sovramodali, multisensoriali di funzionamento del nostro cervello. In termini più generali, si è spesso visto che i processi mentali sono più complessi di quanto non si sia finora pensato. E’ importante definire le singole aree, le localizzazioni, ma lo è ancora di più identificare i circuiti coinvolti, trovare le aree di sovrapposizione e di funzionamento comune e integrato. La musica è una disciplina cruciale in questo senso: processi linguistici, spaziali, motori, attentivi, percettivi, si intrecciano continuamente nello studio di come noi siamo capaci di leggere uno spartito, produrre un suono da uno strumento, ascoltare e sincronizzare il nostro operato con quello delle persone con cui suoniamo. Così come non è possibile ignorare la relazione tra la percezione di uno stimolo musicale e la valenza emotiva che esso ha per il nostro corpo e il nostro vissuto interiore.
La psicologia della musica ci permette di studiare alcuni tra i problemi più importanti che rimangono aperti nella ricerca psicologica. In primo luogo l’identificazione del contributo biologico e/o ambientale nel nostro sviluppo. Questo aspetto viene spesso definito come la comprensione delle influenze della natura vs. cultura. Per la psicologia studiare l’ereditarietà, il contributo biologico allo sviluppo di un processo mentale è di grande importanza così come identificare le variabili ambientali che svolgono un ruolo attivo nel modellare il nostro comportamento. La musica è un terreno ideale per studiare queste differenze. Spesso il senso comune ci porta a vedere le competenze musicali come un qualcosa di innato, di biologicamente predeterminato su cui non abbiamo alcuna influenza. “Sono stonato”, si sente spesso dire senza che vi sia una reale comprensione di come si sviluppino i nostri processi di ascolto e produzione musicale e di come l’ambiente e la stimolazione esterna giochino invece un ruolo cruciale. Essere un musicista, aver svolto un percorso formale di educazione musicale modella fortemente il modo in cui il nostro cervello è in grado di elaborare uno stimolo musicale- Le nostre funzioni cognitive si sviluppano sulla base di istruzioni biologiche, uguali per tutti, ma si modificano sulla base delle nostre esperienze e la psicologia della musica è un terreno di indagine privilegiato per studiare questa evoluzione.
Il tema della contrapposizione tra fattori biologici e ambientali è alla base anche di un altro argomento di grande respiro per la ricerca psicologica: la plasticità cerebrale, intesa sia come la possibilità di adattamento neurofisiologico del nostro cervello, la capacità di modificare le proprie strutture sulla base di un normale processo di sviluppo e di una modificazione avvenuta nella nostra vita, sia come plasticità cognitiva o emotiva. La capacità che abbiamo di svolgere un compito in modi diversi, di adattarci alla situazione e modificare le nostre strategie. Di nuovo, la psicologia della musica offre un terreno di studio ideale per studiare questi fenomeni, per valutare come possano variare in base all’età dell’individuo, per permetterci di vedere come l’ascolto di uno stesso brano musicale possa attivare aree e processi completamente diversi in individui che abbiano conoscenze ed esperienze musicali differenti. Come si sviluppa il cervello di un bambino, quanto le esperienze precoci hanno un ruolo fondamentale nel guidare la maturazione successiva, come le diverse competenze siano un tutt’uno omogeneo di funzionamento e lo sviluppo di una funzione si rifletta naturalmente nella organizzazione complessiva del nostro comportamento? Sono domande cruciali per la psicologia e lo studio delle abilità musicale permette di affrontarle con una nuova profondità.
La musica non è solo un’attività umana estremamente diffusa, ma anche di grande importanza e questo la rende in sé un oggetto di ricerca pertinente e appassionante. Le caratteristiche della musica la rendono poi estremamente interessante anche per lo sviluppo di alcuni ambiti applicativi: dal miglioramento degli strumenti pedagogici alla cura delle patologie del movimento; dallo sviluppo di tecniche didattiche e di riabilitazione della dislessia fino alla comprensione dei meccanismi di coordinamento motorio che vengono ad esempio utilizzati nella pratica sportiva.
Se dovessimo mostrare che la comprensione della musica utilizza le stesse funzioni e aree cerebrali necessarie per compiti non musicali, quali la comprensione del linguaggio ad esempio, questo creerebbe la possibilità di recuperare delle funzioni linguistiche deficitarie attraverso una riabilitazione musicale mirata. I benefici della musica potrebbero non limitarsi a problemi linguistici, ma estendersi anche a tutta una serie di meccanismi cognitivi o abilità quali la coordinazione motoria, la memorizzazione, l’attenzione e via dicendo.
Se potessimo un giorno capire meglio come il cervello analizza l’informazione musicale e come viene programmata la risposta motoria necessaria all’esecuzione, potremmo individuare i punti di maggiore difficoltà e adattare di conseguenza i metodi d’insegnamento. Ad esempio una serie di studi hanno messo in luce che quando osserviamo una persona fare un movimento con la mano, i (nostri) neuroni delle aree cerebrali che controllano la mano rispondono, come se il movimento fosse eseguito da noi. Questo comportamento d’imitazione automatica dei neuroni, in assenza di un movimento reale di chi osserva, acquista subito un interesse per la pedagogia musicale in quanto ci insegna a che punto sia importante avere un docente che mostri all’alunno come fare. Infatti il gesto del docente sarà automaticamente “imitato” dai neuroni della corteccia motoria e questo con ogni probabilità faciliterà l’esecuzione da parte dell’allievo. Che si dirà allora di tutti gli insegnanti di Conservatorio o delle Scuole Medie (purtroppo la maggior parte) che non prendono neppure la briga di portare il loro strumento e che si limitano a fare commenti verbali rispetto all’esecuzione dei loro alunni? Non sempre gli individui che operano in un determinato ambito riescono ad avere un panorama completo anche dei processi mentali che si trovano ad insegnare o che stanno alla base di un programma di riabilitazione. Chi opera in ambito cinico ha giustamente la priorità sul benessere delle persona e non sempre si trova il tempo per gli aggiornamenti teorici. Chi lavora nella ricerca, frequentemente fa fatica a trasporre le proprie conoscenze nel contatto diretto con il bambino che vuole apprendere o migliorare le proprie abilità musicali.
La ricerca in psicologia della musica ha proprio questo obiettivo. Insieme alla comprensione dei processi di base del nostro funzionamento mentale, sviluppare le conoscenze di base che possano poi essere utilizzate per migliorare le tecniche di apprendimento e formazione musicale così come favorire la promozione e l’utilizzo della musica nei percorsi riabilitativi e di inclusione scolatica.
selezione tratta dal libro Psicologia della musica, di Schon, Akiva-Kabiri, Vecchi, Carocci Editore, 2018
Tomaso Vechi
Tomaso Vecchi, professore di psicologia cognitiva e direttore del Dipartimento di Scienze del Sistema Nervoso e del Comportamento dell’Università di Pavia. Autore di saggi e articoli scientifici sui processi cognitive nell’uomo e sui meccanismi cerebrali che sottendono allo sviluppo di funzioni quali la memoria, l’immaginazione o la percezione.
Bibliografia
Testi in italiano
- John Sloboda “La mente musicale” – Il Mulino, Bologna, 2002 (l’originale inglese è degli anni ’80).
- Ani Patel “La musica, il linguaggio e il cervello” – Giovanni Fioriti Editore
Testi in lingua inglese
- Deutsch D. (Ed.) (1998). The Psychology of Music, Second Edition, Academic Press, San Diego
- Hallam S., Cross I. & Thaut M. (2008) The Oxford Handbook of Music Psychology, Oxford University Press
- Hargreaves D. & Lamont A. (2017) The Psychology of Musical Development, Cambridge University Press
- Huron D. (2008) Sweet anticipation, Music and the Psychology of expectation, MIT Press