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Riflessioni e prospettive su disturbi dell’apprendimento e musica
di Elisabetta Piras
31 ottobre 2020
PREMESSA
Non ho memoria della prima volta che ho sentito parlare di Disturbi Specifici dell’Apprendimento, non sono nemmeno certa di averne sentito parlare da subito sotto questa “etichetta”. Si tratta di anni da molto trascorsi rispetto alla Legge 170/2010 che ha consentito agli attanti del mondo della didattica di nominare, incasellare e “trattare” il tema con sistematicità.
Ricordo invece distintamente il primo corso di formazione che ho frequentato su questa tematica, argomentato da disquisizioni sofisticate e di matrice quasi esclusivamente estera (allora il problema in Italia non era ancora contemplato), focalizzate sostanzialmente sulla dislessia, termine che ancora oggi associo allo sguardo perennemente terrorizzato della bambina di sette anni (ormai abbondantemente laureata e, adesso, con lo sguardo limpido), che presentava la strana problematica per cui la scuola organizzò il corso rivolto a noi insegnanti.
Il contatto con questa realtà non si è dimostrato traumatizzante, forse principalmente perché totalmente legato a un contesto didattico generale, e non incanalato nella dimensione della “diversità”, e nell’aurea misticheggiante di strategie speciali per l’apprendimento, da cui troppi discorsi vengono avvolti e giustificati quando si parla di DSA.
Il computer con i relativi programmi di scrittura e simili, ha rappresentato poi una galvanizzante novità, oltre che una stimolante sperimentazione, nell’opportunità per tutti noi di poterlo maneggiare (nessuno ancora ne possedeva uno personale). Questo strumento non era visto né come imposizione, né come strumento indispensabile, semplicemente era un intervento all’avanguardia nella normale attività didattica.
Entrando in medias res, mi ritengo fortunata per aver potuto assimilare la concezione che le misure compensative e dispensative, strettamente connesse con l’inquadramento della didattica individualizzata e personalizzata di cui si parla in tema di DSA, siano in realtà strategie didattiche “pure”, non elementi “curativi”, relegabili a una mera tutela o giustificazione per il sistema formativo -e legislativo-, e che la stessa didattica individualizzata e personalizzata sia un diritto- dovere esteso e da condividere in automatico, e non un’eccezione sulla quale disquisire.
Quando rifletto su tali questioni, naturalmente, non penso solo al personale docente, e al suo ruolo nel processo di apprendimento degli studenti, ma penso a tutte le individualità coinvolte in tale processo, con particolare rilievo per gli studenti stessi e il loro contesto familiare, sociale e affettivo.
Troppo spesso infatti ci si concentra solo su uno o pochi elementi del processo formativo, e meccanismi quali apprendimento e successo scolastico vengono quindi fraintesi, sovrapposti e scavalcati nel groviglio indistinto di aspettative, frustrazioni e burocrazia che sovente inquinano l’armonioso fluire della vita didattica di un soggetto in formazione, con tutti i diritti di parteciparvi con le proprie sacrosante specificità.
Sulla base di una strenua difesa, quindi, di un solido pensiero pedagogico come base di qualsiasi aspetto dell’azione didattica, mi piace aprire la mia personale riflessione sul tema DSA e musica con qualche interrogativo:
Può esistere, nel XXI secolo, una didattica non individualizzata? Può esistere, nel XXI secolo, una didattica non personalizzata?
Posto che non mi soffermerò sulla differenza delle qualità didattiche dell’ “individualizzazione” e della “personalizzazione”, il cui significato è stato abbondantemente assodato come non sinonimico né tantomeno equivalente, voglio sottolineare i contributi, le afferenze e i contesti che portano a un’inferenza come risposta relativamente all’apprendimento musicale, al di là di qualsiasi “provocazione” che un quesito di questo genere può generare a vari livelli…
I DISTURBI SPECIFICI DELL’APPRENDIMENTO
Secondo la legislazione italiana che norma i Disturbi Specifici dell’Apprendimento in ambito scolastico (Legge 170/2010), con questa definizione ci si riferisce a disturbi certificati a livello medico-specialistico, di determinate -specifiche- abilità, che si manifestano in soggetti con capacità cognitive adeguate. A prescindere da qualsiasi considerazione sulla bontà e chiarezza dell’espressione normativa, al netto del suo contenuto, questa presenta un aspetto innovativo a livello internazionale, in quanto tratta la questione nella sua particolarità.
Di fatto, molti stati esteri, sia nella considerazione della comunità scientifica, sia nella ricaduta organizzativa a livello scolastico e sociale, da anni indagano su questo tipo di disabilità (mai riconoscendolo come handicap); la letteratura inglese e americana in proposito ci rimanda alla seconda metà del secolo appena trascorso.
Ancora non esiste un’evidenza scientifica sulle cause dei DSA, ma ne sembrano assodate le origini neurobiologiche, riconducibili a una caratteristica genetica che implica una minore attività dell’emisfero sinistro del cervello, a favore di una maggiore attività dell’emisfero destro. Svincolando con agilità l’annosa questione della specializzazione degli emisferi, e considerando le strutture cognitive totalmente non compromesse dal disturbo, tutte le teorie sono concordi nel rilevare un problema di transcodifica tra diversi codici, e soprattutto una scarsa memoria di lavoro, come base di tutte le conseguenti difficoltà.
Il disturbo si può presentare in situazione di comorbidità, quindi si può connotare come “misto” o focalizzato in un solo ambito; il quadro clinico si rende evidente con l’inizio della scuola primaria, con precedenti avvisaglie, poi si definisce nelle sue specificità; sintetizzo qui le principali tipologie:
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Dislessia: DSA con compromissione delle lettura a livello di accuratezza, velocità, comprensione del testo
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Disgrafia e Disortografia: DSA riguardante la scrittura, sia come “programma motorio”, sia come transcodifica fonema-grafema e comprensione/applicazione delle regole del sistema grafemico della lingua
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Discalculia: DSA nell’apprendimento dei numeri e del calcolo
A queste si aggiunge la discussa
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Disprassia: DSA nell’organizzazione e nella realizzazione di sequenze motorie
Rimandando a sedi più adeguate e specializzate ulteriori approfondimenti sugli aspetti più tecnici del disturbo, quanto ci è dato di capire e sapere da un punto di vista neuro-psicologico stimola alcune considerazioni basilari: il DSA riguarda il sistema di transcodifica, investe diverse aree, ma sempre in relazione ad abilità applicative scolastiche. I riscontri scientifici non prevedono interventi terapeutici e/o curativi, ma promuovono diverse strategie per l’acquisizione dei contenuti. Sebbene il DSA si possa presentare in forma mista e in diversi livelli di gravità, non vi è menzione di una situazione di handicap, e il controllo nell’arco della vita dei soggetti con DSA non pone limiti a un miglioramento delle prestazioni nelle aree penalizzate dal disturbo, tantomeno alla realizzazione sociale del soggetto in età adulta.
A questo punto entra in gioco il sistema scolastico, perché essendo un disturbo individuato ed espresso in contesto didattico, è qui che si concretizza la maggiore responsabilità.
La ricerca non presenta risultati quantitativi tali da proporre modelli univoci, per questa ragione misure compensative e misure dispensative sono delineate in modo assolutamente mirato alle specificità dell’alunno, dopo essere state passate al vaglio del parere medico-specialistico e della discussione collettiva di un Consiglio di Classe, insieme a tutte le figure che affiancano a vari livelli lo studente. Il famoso Piano Didattico Personalizzato si pone quindi come strumento pronto al cambiamento, che può prevedere o meno diverse tipologie di accorgimenti didattici.
Tali misure, nella sostanza, si pongono come elementi fondamentali dell’ambiente di apprendimento, visto che presuppongono di fatto l’eliminazione di barriere/ostacoli e il raggiungimento ottimale di obiettivi ambìti, fermo restando che il disturbo è oggettivamente riconosciuto e l’uso di alcune misure, sebbene possibili, potrebbero avere effetti controproducenti, soprattutto a livello secondario (problemi di motivazione, autostima e simili).
E LA MUSICA?
La musica non tradisce neanche in questo contesto la sua natura totalizzante e il suo potenziale interdisciplinare; partendo dall’assunto che le attività musicali si pongono in ogni contesto didattico con due macro-funzioni facilmente definibili che la possono mostrare sia come pratica specifica foriera di contenuti propri, sia come pratica che si presta come foriera di contenuti altri.
Sul tema in oggetto, la pratica musicale viene sovente menzionata come elemento utile e salutare che porta beneficio a tutti gli altri ambiti di apprendimento. Questo non rappresenta una novità in ambito didattico, visto che la musica è sempre consigliata a partire dalle primissime fasce d’età, per i comprovati benefici sullo sviluppo globale della persona. In riferimento ai DSA, si pone l’accento sul carattere multisensoriale della pratica musicale, in quanto vengono coinvolti: vista, udito, tatto, propriocettori, apparato cinestetico, motricità grossa e fine, cavità di risonanza, senza tralasciare varie e molteplici implicazioni emotive.
Il canale comunicativo e di apprendimento multisensoriale si individua come privilegiato per i soggetti con DSA, proprio in considerazione della menzionata atipicità nell’attività dei due emisferi; per questa ragione numerosi studi e voci autorevoli consigliano l’attività musicale propedeutica già in età prescolare, anche a livello preventivo, e propongono il riscontro di un miglioramento negli ambiti di DSA con l’affiancamento di attività musicali, nella dimostrazione che capacità apprese attraverso la musica (memorizzazione, attenzione, coordinazione e simili) possono essere trasferibili in altri ambiti di apprendimento, anche in situazioni di criticità.
Personalmente non smetto mai di sostenere questo tipo di posizione, anche perché operando in diversi contesti didattici, e con diverse popolazioni scolastiche, vedo il fenomeno direttamente sul campo.
Provo invece un certo imbarazzo del vedere la “musica” intesa sempre come pratica generica. Tutti ben sappiamo che “fare musica” non significa solo suonare uno strumento, ma esiste una quantità di pratiche musicali, direi, infinite, sia in relazione all’autobiografia musicale di ognuno di noi, sia in relazione alle infinite manifestazioni dell’universo sonoro con cui consapevolmente o inconsapevolmente ci troviamo di continuo a relazionarci. Gli sforzi della pedagogia musicale, come campo specifico, appaiono spesso dissociati da altri ambiti di sapere e conoscenza, oltre che da applicazioni pratiche, che invece investono e beneficiano di un ambito disciplinare che affina sempre di più i suoi strumenti sia pratici che teorici.
Strettamente collegato con il tema dell’ambito disciplinare specifico, si apre “il vaso di Pandora” delle attività musicali praticate con l’obiettivo specifico di affrontare contenuti musicali.
QUALE MUSICA?
Sul tema DSA, sia che si pensi ad attività musicali svolte con l’intento di perseguire obiettivi specificamente musicali, sia che si pensi ad attività musicali svolte per usufruire dei benefici della musica, e a prescindere dal tipo di attività a cui ci si rimanda, in genere ci si riferisce a contesti dove la musica si apprende in modo formale e istituzionalizzato. Attualmente in Italia possiamo pensare, come istituzioni principali, alle SMIM, ai Licei Musicali e naturalmente alle istituzioni musicali AFAM, fermo restando che esistono numerosi contesti e istituzioni in cui nella realtà si svolgono le stesse attività, e gli intenti possono altrettanto professionalizzanti.
I DSA non badano al contesto in cui le attività vengono svolte, si manifestano ovviamente allo stesso modo, la differenza sostanziale risiede nel fatto che nelle agenzie di formazione statali, la legislazione italiana deve garantire che siano messe in atto le misure dispensative e compensative utili e necessarie per la massima attualizzazione dello studente.
Da un punto di vista clinico, è solo l’osservazione che consente in quali aree dell’apprendimento musicale il DSA procura la necessità di accorgimenti adeguati. Non esiste infatti un DSA codificato in riferimento all’apprendimento musicale, ma di volta in volta si stabilisce l’assimilabilità di codici e abilità tra pratica musicale e gli ambiti di apprendimento di cui si è parlato in precedenza.
Esiste una letteratura, sebbene non troppo vasta, sull’argomento, che si appoggia primariamente su ricerche qualitative, e case studies.
I punti di maggiore contatto tra DSA in musica e DSA in altri ambiti sono dati da macro-fattori facilmente associabili, quindi, come si è detto, memoria di lavoro, e problemi di transcodifica, facilmente declinabili con adeguata gestione e allungamento dei tempi di realizzazione, uso di materiali di testo ingranditi, adeguato uso e gestione della ripetizione dei contenuti, accorgimenti di natura visiva e uditiva, multisensorialità nella trasmissione dei contenuti e via dicendo. Per ciò che riguarda le materie teoriche, le misure compensative e dispensative possono essere quelle già sperimentate per le similari materie teoriche, quindi dispensa all’occorrenza della lettura a voce alta, l’uso di tecnologie di letto-scrittura e sintesi, mappe concettuali e simili. Per le materie pratico-esecutive, invece il discorso si complica, in quanto i processi di apprendimento dell’esecuzione musicale, oltre a variare da uno strumento a un altro da un punto di vista motorio e concettuale, variano proprio nell’essenza. In questo senso il “nocciolo della questione” per offrire allo studente l’ambiente di apprendimento ottimale risiede nell’osservazione da parte del docente del suo DSA in relazione al codice implicato nel processo di lettura e relazione tra grafema e realizzazione musicale-esecutiva, al fine di mettere in atto quanto necessario.
Il mondo della scuola riesce a gestire questo tipo di situazione forte dell’essere un meccanismo sistemico di collaborazione tra docenti che seguono il percorso dello studente di musica per un tempo significativo, almeno un intero ciclo scolastico, in condizioni normali, e che sinergicamente guardano le esigenze da diverse angolazioni, per sintetizzarle in un comportamento didattico comune. Questo, nello scuola accade di fatto per ogni studente e in ogni disciplina; possono cambiare i docenti, ma il Consiglio di Classe permane, così come pure il sistema intorno l’apprendimento degli studenti.
Per ciò che riguarda le Istituzioni del mondo AFAM, invece il discorso è diverso.
Posto che lo Stato Italiano prevede misure compensative e dispensative anche in questo contesto di apprendimento, i Conservatori presentano una varietà talmente ampia dell’offerta formativa, che diventa difficile poter far rientrare nella stessa casistica percorsi difficilmente assimilabili, che hanno durate diverse e differenti disciplina loro interno, oltre a essere molto rare le discipline e le tempistiche comuni tra i vari percorsi. Uno studente del Conservatorio si trova a cambiare contesto di apprendimento (non solo insegnante e disciplina) ogni volta che affronta un nuovo corso, quindi è totalmente assente un discorso collegiale intorno alla carriera scolastica del soggetto.
La personalizzazione della didattica è quindi un dato precipuo della didattica musicale in Conservatorio, e questo è una conferma rispetto all’impianto sociologico che caratterizza tradizionalmente la relazione didattica in Conservatorio.
Le misure compensative e dispensative previste in questo contesto hanno quindi la finalità di rendere realizzabile in sé per sé il percorso formativo musicale dello studente, con particolare attenzione alle misure dispensative relative a prove non sostanziali e fondamentalmente essenziali in particolare in sede d’esame, in quanto la loro assenza potrebbe rendere irrealizzabile la prosecuzione degli studi.
In conclusione…
il riconoscimento dei DSA sia da un punto di vista scientifico che istituzionale offre una grande opportunità di realizzazione scolastica, che sino a non troppi anni fa era negata e impensabile.
La musica può offrire un ottimo supporto in questo senso, oltre che un esempio di motivazione profonda, quella che spinge a superare ogni tipo di ostacolo. Non sono rari i casi documentati di musicisti che hanno portato a termine con successo il proprio percorso di studi pur con diagnosi di DSA, così come si possono trovare musicisti in carriera che non fanno segreto di questa loro caratteristica.
Il fatto non può e non deve essere ostativo, anche in osservazione del dato che le diagnosi di DSA sono statisticamente sempre in aumento; è difficile stabilire se questo dato può essere giustificato dal maggiore numero e dalla migliore qualità delle operazioni diagnostiche in questo senso, o se ci sia una qualche ragione per cui questi disturbi si manifestano più che un tempo.
In ogni caso la situazione è questa, e la responsabilità della didattica musicale, che è allo stesso tempo una sfida, è quella di trovare le modalità maggiormente efficaci e funzionali per restituire all’esperienza musicale il valore formativo, estetico ed emozionale che lo studente motivato merita, a prescindere dal grado di professionalizzazione ambìto dal contesto di apprendimento, modulando le metodologie didattiche in relazione alle esigenze reali, né preconcette, né precostituite…è una questione, oltretutto, schiettamente etica.
In virtù di quanto esposto sopra, senza naturalmente pretese di esaustività su un argomento così vasto, spero che sia superfluo esplicitare le mie personali risposte ai quesiti iniziali…
Elisabetta Piras
Laureata in Discipline dell’Arte, della Musica e dello Spettacolo all’Università di Bologna, diplomata in Pianoforte al Conservatorio Di Cagliari e in Didattica della Musica al Conservatorio di Torino, si specializza in “Metodologia della ricerca scientifica per l’Educazione Musicale”, con il corso biennale istituito dalla Scuola Superiore di Ricerca nel campo dell’Educazione Musicale dell’Accademia Filarmonica di Bologna e della Società Italiana per l’Educazione Musicale, e in interpretazione solistica con il Diploma triennale di Alto Perfezionamento Pianistico dell’ Accademia Musicale Pescarese.
Approfondisce il suo percorso musicale, musicologico e didattico-pedagogico nei maggiori centri di formazione in Italia e all’estero, con particolare attenzione alle metodologie attive di insegnamento e alla musicoterapia. Svolge regolarmente attività concertistica come solista e in formazione cameristica, parallelamente all’attività di ricerca musicologica, con pubblicazioni sia di carattere scientifico che divulgativo; tiene seminari e conferenze e partecipa a convegni in qualità di relatore in Italia e all’estero (Inghilterra, Scozia, Grecia, Brasile, Cina, Spagna, Portogallo, Austria, Estonia).
Conduce corsi e laboratori di musica e pianoforte per ogni età, a partire dalla propedeutica musicale per bambini dai 3 anni, sino all’età adulta, e nell’ambito della formazione degli insegnanti, presso istituzioni statali quali Università e Conservatori, centri di ricerca e associazioni private. É docente stabile presso i Corsi di Formazione Musicale della Città di Torino e del Teatro Regio di Torino.
Già docente di ruolo di Educazione Musicale presso la Scuola Secondaria di primo grado, è attualmente docente di ruolo di Pianoforte presso i Licei Musicali Statali. Dal 2004 collabora con l’Università di Bologna, sia con attività di ricerca sia con attività didattiche, dove attualmente è docente a contratto. Nell’Anno Accademico 2019-2020, durante l’incarico di docenza di Pratica e Lettura Pianistica, è referente DSA per il Conservatorio di Musica di Cagliari.
KIT DI BIBLIOGRAFIA ESSENZIALISSIMA
Di seguito riporto una bibliografia essenziale in lingua italiana, che a me è servita e serve nel tempo per contestualizzare, orientare, alimentare e articolare il mio pensiero e la mia azione davanti alle situazioni didattiche, mano a mano che si presentano. Si tratta di indicazioni e suggerimenti che rimandano ad ulteriori riflessioni e approfondimenti, nelle indicazioni delle rispettive fonti.
Mi fa piacere specificare che, come ho esposto in precedenza riguardo alla pedagogia, sono estremamente convinta che la base di qualsiasi discorso sul tema, sebbene specifico, sia rappresentata da una seria e lucida riflessione sulle coordinate pedagogiche dell’azione educativa in generale, e sulla creatività esprimibile in questa; nella presente bibliografia rimando all’approccio Deweyano per praticità e funzionalità, ma chiaramente ogni contributo pedagogico è fondamentale. Anche da un punto di vista legislativo e medico-specialistico indico esclusivamente alcuni mirati riferimenti, che comunque aprono la soglia a opportuni approfondimenti centrati sui rispettivi focus, all’occorrenza.
Sperando nell’utilità di questi suggerimenti, mi piace pensare alla bibliografia, così come più in generale all’apparato teorico fondante qualsiasi azione educativo-didattica, non come a un corpus statico di autorevoli e necessarie nozioni (questo lo ritengo necessario in altro habitus), ma come a un agile kit da gestire, rimodulare e maneggiare in ottica elastica e dinamica, a seconda dell’esigenza.
Bufano, M. (S.D). Il dislessico dalla scuola elementare al conservatorio: Una panoramica sulla dislessia. Torrazza Piemonte: Streetlib.
Chiappetta, L., & Rizzo, A. (2016). Musica e inclusione: Teorie e strategie didattiche. Roma: Carocci.
Cisco, A., & Cardinaletti, A. (2017). Studenti con Disturbo Specifico di Apprendimento negli Atenei e nelle AFAM del Veneto: un’indagine empirica. DISLESSIA, vol. 14, pp. 237-255.
Dewey, J. (2019). Come pensiamo. Milano: Raffaello Cortina Editore.
Freschi, A.M., Molinari R., & Petrangelo A. (2020). Studenti con DSA nell’Alta Formazione Musicale: Linee guida per docenti. Conservatorio di Musica “Luigi Cherubini” di Firenze. https://www.consfi.it/wp-content/uploads/2019/01/Studenti-con-DSA-nell’Alta-Formazione.-Linee-guida-per-docenti-2020.pdf.
Miles, T.R., & Westcombe, J. (2015). Musica e dislessia: Aprire nuove porte. Milano: Rugginenti Editore.
Miles, T.R., Westcombe, J., & Ditchfield, D. (2018). Musica e dislessia: Un approccio positivo. Milano: Rugginenti Editore.
Militerni, R. (2017). Neuropsichiatria infantile. Napoli: Edizioni Idelson-Gnocchi.
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Rizzo, A. L., & Lietti, M. T. (Eds), (2013). Musica e DSA: La didattica
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Stella, G. (Ed), (2004). La dislessia: Quando un bimbo non riesce a leggere: che cosa fare,
come aiutarlo. Bologna: il Mulino.
***
Disturbi specifici dell’apprendimento in ambito scolastico (Legge 8 ottobre 2010, n. 170), Conservatori di Musica e Istituti Musicali Pareggiati: http://www.aasp.it/didattica_folder/2011-05-11%20MIUR_dislessia.pdf
Legge 8 ottobre 2010, n. 170, Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico: http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/alfresco/d/d/workspace
SpacesStore/34ca798c-2cac-4a6f-b360-13443c2ad456/legge170_10.pdf.
Legge 30 dicembre 2018, n.145. Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2018/12/31/18G00172/sg
Legge 27 dicembre 2019, n. 160, Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022, https://www.gazzettaufficiale.it/atto/vediMenuHTML?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2019-12 30&atto.codiceRedazionale=19G00165&tipoSerie=serie_generale&tipoVigenza=originario