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Una didattica della condivisione
di Elio Martusciello
31 agosto 2020
L’intera mia esperienza didattica è caratterizzata dalla difficoltà di trasmettere le conoscenze in maniera unidirezionale: dal docente al discente. Credo che questo sia avvenuto per più di un motivo. Il primo è sicuramente da ricercarsi nel semplice fatto che ho sempre “saputo di non sapere”. Il mio rapporto con la conoscenza, in generale, è sempre stato piuttosto lacunoso e problematico. La mia curiosità nei confronti del libro e dello studio è iniziata alquanto tardi; direi, paradossalmente, alla fine dei miei impegni scolastici. Ho percepito la scuola come un percorso di accesso al sapere di tipo essenzialmente coercitivo, che quasi mai ha coinciso con le mie curiosità del momento, che sono sempre state girovaghe, transitanti, combinatorie, connettive, variegate, e a detta di molti (famiglia e professori in primis) irrimediabilmente dispersive, inconcludenti. Credo che il secondo motivo sia da ricercarsi invece nelle qualità specifiche della disciplina che mi sono ritrovato a insegnare: la composizione elettroacustica. L’attività artistica e quindi compositiva credo si caratterizzi per un altissimo grado di indeterminazione, forse si tratta più di un “senso” da generare che una “verità” da ricercare. Se a questo si aggiunge l’apertura e l’accelerazione ulteriore che il continuo mutamento tecnologico impone all’attività del compositore elettroacustico, allora direi che i saperi che vengono a determinarsi in maniera fondativa si riducono al “quasi niente”. Infine, se il quadro generale di questo “sapere dubbioso” non dovesse apparire a questo punto già notevolmente compromesso, confuso, opaco e instabile si può aggiungere, per complicare ulteriormente l’intera questione, il mio interesse per le pratiche improvvisative connesse alle tecnologie elettro-elettroniche. Stiamo parlando di un’attività artistica e compositiva di tipo tecnologico da realizzarsi in “tempo reale”, all’istante, nell’immediatezza, mentre viceversa l’ambito delle tecnologie sembrano caratterizzarsi esattamente per il loro “mediare”. Si tratta di conoscenze che sono state affrontate e apprese da autodidatta, in un contesto di pura “pratica” artistica, senza cioè aver mai frequentato corsi o scuole specifiche. Quindi, forse, inevitabile conseguenza di tutto ciò, è stato da parte mia intendere la didattica come un “sistema circolare”, un processo che tende a escludere qualsiasi gerarchia e a produrre un lavoro di condivisione da parte di tutti i soggetti coinvolti nel lavoro di apprendimento, analisi e critica. Una discussione corale, promossa per lo più in classe, dove di volta in volta le riflessioni più convincenti contribuiscono a consolidare saperi validi per un tempo contrassegnato comunque dalla caducità e dal mutamento. Saperi che se anche producono nuclei concettuali e pratici relativamente consistenti restano però, in ultima istanza, decisamente fluidi, accoglienti, predisposti al cambiamento. Queste sono alcune delle premesse che hanno caratterizzato la mia attività di insegnamento (e ovviamente, data la modalità, anche di apprendimento) svolte anche quando nel 2013 mi sono trasferito al Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli. In questo conservatorio e in questa città, grazie ad un’altra serie di circostanze, ci sono stati degli sviluppi che hanno superato di gran lunga le mie aspettative. La dimensione della condivisione, che ho iniziato ad apprezzare sempre più grazie alla “didattica circolare”, ha raggiunto, con la nascita dell’Orchestra Elettroacustica Officina Arti Soniche, il suo punto di massima espressione. Inizialmente è nata l’Officina Arti Soniche, cioè il nome che abbiamo dato alla nostra classe di Musica Elettronica. Questo perché un po’ alla volta essa è divenuta un laboratorio, un’officina in cui altri studenti del conservatorio si riunivano con i miei studenti (la mia presenza o meno, talvolta, era irrilevante) per incontrarsi musicalmente, discutere, registrare le loro sessioni musicali e analizzare i loro artefatti sonici. Ovviamente, tutto ciò è stato favorito anche dalla pratica improvvisativa che ho introdotto nella mia didattica e che in qualche modo rendeva più semplici, immediati e “leggeri” questi incontri tra gli elettronici e gli strumentisti provenienti dalle altre scuole del conservatorio. Durante quelle sedute d’incontro ho introdotto anche la tecnica della “conduction” appresa durante la mia esperienza nell’orchestra di Butch Morris e che successivamente ho sviluppato, modificato e personalizzato durante le mie “conduction” fatte un po’ in giro tra Europa e Americhe. Tale pratica orchestrale è caratterizzata dalla presenza del “conductor”, cioè di un direttore d’orchestra che comunica attraverso un insieme di gesti le idee musicali che i musicisti devono eseguire o sviluppare in un regime di improvvisazione controllata; di solito non è prevista la presenza di spartiti. L’entusiasmo è stato immediato. Un territorio, come quello partenopeo, che ha fatto dello scambio interpersonale motivo di orgoglio identitario, di peculiare tradizione, non poteva che vedere in quella pratica un qualcosa di assolutamente consono al suo “sentire”. Insomma, l’entusiasmo ha in breve tempo superato il perimetro dell’istituzione e si è propagato lungo le strette vie dell’intera città raggiungendo anche i musicisti che operavano ai suoi confini più remoti. A quel punto è nata l’Orchestra Elettroacustica Officina Arti Soniche (OEOAS). Oggi giorno i suoi componenti, che hanno superato il numero di 400, provengono non solo da Napoli e dalla Campania, ma anche da altre regioni come Puglia e Lazio. Questa orchestra rappresenta molto bene le qualità che a mio avviso si producono con questo tipo di didattica che ormai ho definito qui “circolare”. La crescita è collettiva e la sua forza è il sapere ampio e diffuso dell’intera comunità. Si approfitta delle “differenze” che la molteplicità di modi di pensare e conoscere riescono a produrre rispetto a un presunto sapere che proviene da un unico soggetto, cioè il Maestro. Sono altresì ben consapevole che la discreta presenza di una figura d’esperienza, “autorevole nei modi”, possa catalizzare e incanalare quel complesso e molteplice feedback di saperi; esattamente come avviene con la figura del “conductor” nell’orchestra. L’orchestra vive del “sentire” collettivo, e il “conductor” può e deve accogliere questa sensibilità sonica che la molteplicità dei suoi componenti propone. Il principio è quello di promuovere il principio di “autorevolezza” rispetto a quello di “autorità”. Come scrive David Le Breton, al “Maestro di Verità” si contrappone qui il “Maestro di Senso”, cioè al Maestro che possiede una verità che deve essere semplicemente rivelata all’altro si preferisce un Maestro che deve solo accompagnare l’altro a costruire un proprio “senso” del mondo e della creatività. L’orchestra con il suo immediato risultato musicale e artistico è la dimostrazione plastica di questa logica che attraversa i tempi lunghi e più difficilmente verificabili della “didattica circolare”. Insomma, ho la netta impressione che la comunità degli studenti possa sentirsi potenziata e gratificata dal momento che è lei stessa a produrre il sapere, piuttosto che subirlo da un’autorità. Un figura di mediazione, autorevole e accogliente serve loro solo come ulteriore sponda di verifica del “senso” prodotto. Credo che la forza di questo metodo è tanto più efficace quando la figura del mediatore non è solo un’invenzione strategica messa in campo per attivare una buona didattica, ma quando essa è mossa da una fede sincera nei confronti del potere collettivo; esattamente ciò che si riproduce nell’orchestra. Il conduttore non segue un proprio progetto musicale, ma si mette a disposizione per mediare tra le diverse idee musicali che spontaneamente emergono da quel prezioso serbatoio di sensibilità che è un’orchestra. La lettura del famoso testo “il maestro ignorante”, di Jacques Rancière, mi ha ulteriormente supportato nella convinzione circa le straordinarie potenzialità d’apprendimento che un giovane può mettere in atto autonomamente per la sua crescita spirituale e intellettuale. Ovviamente tutto ciò dipende, con sfumature diverse, anche da certe peculiarità dei specifici saperi che prendiamo in considerazione.
Ad esempio, nella classe di composizione musicale elettroacustica se fosse dipeso solo da me si sarebbe rischiato di restringere il campo della musica elettroacustica solo a quelle musiche che hanno attraversato la mia esperienza e che ho maggiormente amato, come l’acusmatica e certe esperienze elettroacustiche che potremmo definire di tipo più “accademiche” o sperimentali. Mentre grazie all’attività propositiva degli studenti abbiamo affrontato tante altre esperienze musicali elettroacustiche come la techno, l’house, l’ambient, il noise, l’industrial, la plunderphonic music e così via. Idem, per quello che riguarda l’orchestra, la mia idea iniziale era di aggiungere agli strumenti elettronici anche gli strumenti tradizionali, con il preciso intento di riprodurre però sonorità e comportamenti tipici della musica elettronica, e in particolare dell’esperienza della musica acusmatica; tutto questo grazie alle tecniche strumentali estese e a una dimensione più timbrica da ricercare con gli strumenti tradizionali. Invece con il tempo il ventaglio espressivo dell’orchestra è andato molto oltre la mia immaginazione e oramai include attraversamenti prima impensabili, che vanno dalla techno all’ambient, dal rock al jazz, dall’acusmatica alla musica contemporanea, dalla canzone alla performance teatrale. Per concludere vorrei soffermarmi (chiarendo e meglio ribadendo) sulle due specifiche opposte peculiarità che contrassegnano le due principali pratiche musicali della mia esperienza e che sono appunto la composizione musicale acusmatica e l’improvvisazione elettroacustica radicale o non idiomatica. La prima si caratterizza per un isolamento del compositore all’interno di uno studio tecnologicamente equipaggiato e che consente il più infinitesimale controllo sul dato sonoro e compositivo. Il compositore è sottoposto a un confronto estremo con se stesso, con l’atto creativo, con ogni più piccola sollecitazione che nasce dal suo profondo, dove la responsabilità dell’opera sembra ricadere integralmente solo su se stesso. Opposta è la pratica improvvisativa, che in molti sostengono non esistere nella forma del “solo”, che viceversa invita all’interazione di gruppo, all’incontro con l’altro; dove silenzio, accoglienza, ascolto, intraprendenza, invito, sono tutti atteggiamenti necessari per una gestione e creazione collettiva, condivisa, di un “senso” musicale che superi le istanze dei singoli componenti. Insomma, dove si auspica che il risultato collettivo possa essere maggiore della somma dei singoli contributi. Credo che queste due pratiche musicali, caratterizzate da queste due opposte posture mentali, possano essere utili (non posso dire se lo siano stato per me) per la formazione di quella figura di “Maestro di Senso” che qui con una “didattica della condivisione” ho provato a delineare.
Elio Martusciello
Musicista e compositore italiano di musica sperimentale, insegna musica elettronica al conservatorio di Napoli. Ha studiato fotografia con Mimmo Jodice e arti visive con Carlo Alfano, Armando De Stefano e Rosa Panaro. La sua estetica musicale deriva essenzialmente dall’arte acusmatica, ma oltre alla composizione musicale acusmatica compone per strumenti e live electronics, opera nell’ambito dell’installazione d’arte, dei multimedia, delle arti visive e dell’improvvisazione elettroacustica. Egli è membro fondatore del gruppo Ossatura. Suoi lavori sono stati prodotti da Recommended Records, Staalplaat, Die Schachtel, Ambiances Magnétiques, FMP, GMEM, IMEB, etc. Inoltre, ha collaborato con musicisti come Ana-Maria Avram, Natasha Barrett, Eugene Chadbourne, Alvin Curran, Chris Cutler, Iancu Dumitrescu, Tim Hodgkinson, Thomas Lehn, Lawrence D. “Butch” Morris, Jerome Noetinger, Tony Oxley, Evan Parker, Giancarlo Schiaffini, Z’EV, Guy Chenevier, Gene Coleman, Mike Cooper, Rhodri Davies, Dieb13.
Bibliografia più che essenziale
David Le Breton Sul silenzio – Fuggire dal rumore del mondo (Raffaello Cortina Editore – 2018)
Derek Bailey Improvvisazione. Sua natura e pratica in musica (ETS – 20109)
Jacques Rancière Il Maestro Ignorante (Mimesis Edizioni – 2008)
OEOAS (https://sites.google.com/site/orchestraoeoas/home)
Vladimir Jankélévitch Da qualche parte nell’incompiuto (Einaudi – 2012)